http://www.elle.it/Sorelle-Italia/donna-strega-uccisa-in-arabia-saudita
Archivi categoria: Articoli
Lista di articoli interessanti
“Noi” e le elezioni democratiche in Egitto
un mio commento nel Giornale di Brescia del 6/12/2011:
Il risultato della prima tornata elettorale egiziana è un tassello che va a comporre il mosaico del nuovo assetto del nord Africa e conferma la volontà delle popolazioni locali di avere governi che si ispirino ai principi islamici, in forma più meno accentuata. E’ un dato di fatto del quale dobbiamo prendere atto tanto noi occidentali quanto i “laici” sconfitti nelle recenti elezioni in Tunisia, Marocco e ora Egitto: la democrazia non dà risultati graditi a tutti, ma la volontà espressa dalla maggioranza va accettata. Piuttosto, proviamo a vedere perché anche in Egitto i frutti della rivoluzione di piazza della “primavera araba”, scatenata e movimentata perlopiù da attori laici, siano stati poi raccolti da partiti religiosi.
All’euforia libertaria del gennaio scorso in Egitto sono progressivamente subentrati sentimenti di delusione e instabilità: le condizioni economiche del Paese si sono aggravate, con conseguente aumento di crimini e l’instaurarsi di uno stato di insicurezza generale diffusosi soprattutto nelle aree urbane (ovvero, quelle maggiormente coinvolte nelle proteste di piazza). Ciò ha provocato maggiori disordini, con conseguente intervento della polizia e dell’esercito: quest’ultimo, che in un primo tempo sembrava essersi fatto in disparte rivestendo un ruolo di puro garante delle istituzioni, ha così acuito il sospetto di voler rivendicare un ruolo dispotico anche nel post elezioni.
Al contempo, i partiti laici hanno dato prova della loro mancanza d’affidabilità dando luogo a una miriade di coalizioni destinate a sciogliersi sul nascere e che hanno insospettito e allontanato l’elettorato.
In questo marasma il Partito della Libertà e Giustizia ha consolidato la sua politica fatta di assistenzialismo e aiuto pratico alla popolazione. Vero è che il partito si è costituito solo nel maggio scorso (in quanto prima ogni associazione partitica indetta dai Fratelli Musulmani era fuori legge: ecco un altro effetto della democrazia!), ma ben si sa come i Fratelli Musulmani vantino una efficientissima rete di assistenza ospedaliera, scolastica, di supporto per i disoccupati ecc. costruita in oltre 70 anni. Così, invece di apparire alla televisione o via internet, il loro partito ha fatto campagna elettorale girando per quartieri poveri e baraccopoli, servendosi della fitta rete di moschee e di organizzazioni caritatevoli con le quali c’è mutuo appoggio e collaborazione.
Non si pensi, però, che il Partito della Libertà e Giustizia sia rivolga solo alle masse indigenti e/o ignoranti, perché nelle sue fila militano professionisti di ogni tipo (anche se quelli che occupano posti governativi sono pagati con stipendi insufficienti ad arrivare a fine mese), nonché imprenditori, commercianti ecc.
Ora, il Partito ha vinto questa prima tappa di un lungo processo elettorale che consta di varie fasi, e si concluderà solo nella prossima primavera; ma si tratta di una tappa cruciale, che ha visto coinvolto l’elettorato della grandi metropoli, quali Cairo e Alessandria (quest’ultima da sempre una roccaforte del Fratelli), per cui è facile prevedere che i prossimi risultati, provenienti dalle aree rurali, confermeranno questo dato.
Egitto come Tunisia e Egitto, insomma, ma con una variante: nel paese dei faraoni sta emergendo con prepotenza un attore assai più inquietante dei Fratelli Musulmani, ovvero, il Partito Salafita al Nur, dichiaratamente reazionario e intollerante, sostenuto da ingenti fondi sauditi. I vicini prossimi appuntamenti elettorali schiariranno quest’incerto panorama.
Una separazione iraniana, un bellissimo film
Una mia recensione di “Una separazione” del regista iraniano Asghar Farhadi in Spazio Critico , n. 1.
http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/54233
Marocco: errori ‘reali’ e voglia di democrazia
Una versione di questo articolo è uscito nel Giornale di Brescia del 27/11/2011:
Le elezioni parlamentari avvenute in Marocco hanno confermato la tendenza dei paesi nord africani ad appoggiare partiti islamici moderati. Dopo il risultato tunisino del mese scorso, la vittoria del partito islamico marocchino sicuramente non sorprende: né, conoscendo gli antefatti, dovrebbe sorprendere la scarsa affluenza alle urne (solo il 45% degli oltre 13 milioni aventi diritto di voto), diserzione non certo imputabile ad una presunta carenza di spirito democratico nei marocchini, ma proprio al suo contrario. Anche i marocchini sono scesi in piazza lo scorso inverno chiedendo riforme e democrazia, e la protesta di moltissimi giovani e di qualche partito d’opposizione si è coagulata in un movimento, il “Movimento 20 febbraio”, il cui slogan è “dignità, libertà, giustizia sociale”. Il gruppo ha avuto da subito vita difficile e le sue pubbliche manifestazioni a cadenza settimanale sono state ostacolate dalla polizia: forse perché la principale rivendicazione è quella di porre fine al monopolio politico-economico detenuto dalla corte reale e dai suoi protegé.
Gli aderenti al “Movimento 20 febbraio” non si sono lasciati ingannare dalla piattaforma di riforme proposte da Mohammad VI che hanno definito “un superficiale maquillage”: domenica 20 novembre sono tornati nelle principali piazze chiedendo ai connazionali di boicottare il voto e riproponendo la propria lista di riforme, in cui si richiede, tra l’altro, la liberazione dei prigionieri politici, fra i quali spicca il giovane rapper Mouad Belrhounate, in carcere dallo scorso settembre per aver scritto una canzone in cui contesta l’assoluto potere del re.
Il boicottaggio, comunque, è stato praticato anche da chi non aderisce al “Movimento 20 febbraio”: interviste a gente comune hanno confermato la disaffezione a partiti che presentano da trent’anni gli stessi candidati e che sono rei di corruzione (fra cui spicca il Partito Socialista, al governo dal 1998 e coinvolto in numerosi scandali); o, che, comunque, hanno contribuito all’inasprimento della situazione economica del Paese, il cui debito estero è cresciuto ulteriormente in quest’ultimo periodo. Anche la coalizione “G8”, nata per contrastare il partito islamico moderato mettendo insieme politici dalla natura e dal profilo diversissimi, ha ulteriormente disgustato l’elettorato marocchino che l’ha definita “una cricca di opportunisti”, destinati, oltretutto, al suicidio politico.
Nonostante Mohammad VI e molti suoi sostenitori, anche stranieri, fino a ieri parlassero dell’ “eccezione del Marocco”, il paese maghrebino non può rimanere immune dall’ondata di cambiamento che squassa gli altri paesi arabi, perché non solo condivide tutti i problemi degli altri stati in rivoluzione, ma in più è caratterizzato da un tasso di analfabetizzazione (oltre il 56% degli adulti non sa né leggere né scrivere), di disoccupazione e di mancanza di protezione sociale (il 70% non possiede una polizza per assistenza sanitaria) e di povertà (circa il 30% della popolazione non ha a disposizione né acqua corrente né elettricità) superiore a molti altri.
Un piccolo segnale di cambiamento, comunque, queste elezioni l’hanno introdotto: ora Mohammad VI dovrà nominare il Primo Ministro tra le fila del partito che ha conseguito il maggior numero di seggi, non più, come in passato, nominando qualcuno a suo esclusivo capriccio.
25 Novembre, giornata per l’eliminazione delle vioenze contro le donne. Un mio pensiero per le donne di Libia
Una versione di questo art. è pubblicato sul Giornale di Brescia di oggi:
Da oltre dieci anni, le Nazioni Unite hanno designato il 25 novembre quale giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Se le vessazioni domestiche sono un problema che, purtroppo, accomuna tutte le donne del mondo, vi sono aree in cui esse subiscono una doppia violenza dovuta alle vicissitudini politiche del loro Paese. E’ il caso delle donne dei paesi arabi i quali, dal nord Africa al Golfo Persico, sono in preda a cambiamenti epocali dall’esito futuro ancora incerto e dove uomini e donne si confrontano quotidianamente con la brutalità con la quale i governi rispondono alle legittime domande dei cittadini.
In queste situazioni le donne non stanno semplicemente “cucendo le bandiere”, per usare una famosa immagine risorgimentale cara anche da noi, ma, dopo aver aiutato i connazionali a scardinare i regimi dittatoriali, lottano ora per costruire nuove democrazie nelle quali anche i loro diritti dovrebbero trovare la giusta collocazione.
E’ il caso della Libia, già peraltro scomparsa dall’attenzione internazionale che per mesi è rimasta focalizzata quasi esclusivamente sul destino del suo leader e su quello delle risorse petrolifere e delle loro possibili distribuzioni fra le potenze europee.
Viceversa, le donne libiche hanno apportato un contributo essenziale al rovesciamento di Gheddafi, giocando un ruolo sia tradizionale (gestendo cucine da campo e postazioni di soccorso sanitario per profughi e rivoltosi), sia più innovativo quale, ad esempio, quello svolto delle impiegate governative che hanno fornito informazioni utili ai ribelli; o quello delle donne che hanno contrabbandato armi destinate agli stessi. Molte hanno pagato un prezzo assai alto, con la loro vita o rimanendo vittime di stupro, strumento sempre usato nelle situazioni belliche, soprattutto quando gli attori sono animati da presunte istanze tribali e/o etniche, come avvenuto nel caso libico.
E proprio nel carattere tribale che parzialmente forma l’identità libica risiederebbe, in parte, l’ostilità a un’effettiva partecipazione politica delle donne nel prossimo governo; mentre, d’altro canto, una manipolata versione della religione islamica sta già paventando alle libiche una riduzione dei loro diritti. Non è tanto l’annunciata probabile assunzione della shari’a come parte integrante del diritto libico che spaventa le cittadine (ricordiamo, peraltro, che molte istituzioni sharitiche sono già presenti nei codici libici, seppure in versione “gheddafiana”); ma temono, piuttosto, la possibile imposizione di un’interpretazione monolitica (ovvero, patriarcale e misogina) della legge islamica.
Dal punto di vista delle donne la Libia è un paese ricco di contraddizioni, dove esse rappresentano solo il 25% della forza lavorativa del Paese, ma dove, altresì, in una città conservatrice come Bengasi costituiscono il 40% degli avvocati: un’ennesima riprova delle luci e ombre nelle politiche gheddafiane, comprese quelle di genere.
Ora, il bagno di sangue libico può comportare due conseguenze opposte per il destino delle donne, come già sperimentato in altri, recenti teatri di guerra: da un lato, frenarne bruscamente l’avanzata (come successo in Iraq); dall’altro, essere foriero di un impeto verso le istituzioni democratiche, come testimonia il Ruanda, un tempo flagellato da un’orrenda guerra civile, ora fra i paesi a maggiore rappresentanza parlamentare femminile al mondo.
Corpi di donne egiziane
Il diverso coraggio delle egiziane: leggi la mia rubrica Medioriente di genere in Grandemedioriente.it:
http://www.grandemedioriente.it/corpi-di-donne-egiziane-6083
Elezioni in Egitto
leggi il mio art. sul Giornale di Brescia del 12/11/2011:
Mentre la Tunisia lavora per varare un nuovo governo e redigere la prima costituzione democratica della sua storia, l’altro grande paese protagonista della “primavera araba”, ovvero l’Egitto, si prepara a un turno elettorale pieno di incognite e di preoccupazioni. In questa interminabile fase di transizione il potere continua a essere gestito dal Consiglio Supremo delle Forze Armate (CSFA) il quale, apparentemente, non dovrebbe giocare alcun ruolo nelle elezioni, ma solo garantirne lo svolgimento pacifico, per poi ritornare ai propri compiti di difesa dello stato. Tuttavia, in queste ultime settimane si sono verificati alcuni eventi che fanno presagire come l’esercito non sia intenzionato a lasciare il potere: dapprima, è giunta la candidatura alla presidenza di un alto ufficiale, Muhammad Husayn Tantawi, sostenuta da una lobby di militari; quindi, due proposte governative che prevedono, rispettivamente, la facoltà del CSFA di nominare 80 dei 100 membri della commissione incaricata di riscrivere la costituzione e la garanzia (inviolabile pure dalla futura costituzione) che il budget dei militari non potrà essere sottoposto ad alcun esame del parlamento. Si noti che l’esercito controlla, oltre a vari insediamenti industriali, un cospicuo patrimonio terriero (in un Paese la cui principale risorsa è l’agricoltura), nonché il Mar Rosso e il suo lucroso gettito turistico.
E’ altresì da considerare il fatto che, visti i tempi lunghi dell’iter procedurale egiziano (fra elezioni del parlamento, stesura della nuova costituzione ed elezione del nuovo Presidente ci vorrà oltre un anno di tempo) le elezioni presidenziali si terranno nel 2013: nel frattempo, l’esercito continuerà a governare, perché l’attuale sistema prevede che governo e primo ministri non rispondano al parlamento, bensì direttamente al Presidente, del quale l’esercito è vicario…
Dall’altra parte della barricata si trova il fronte islamista, costituito non solo dai famosi Fratelli Musulmani, ma animato altresì da una miriade di partiti “religiosi”: compagini nate dalle defezioni di giovani attivisti proprio dalle fila dei Fratelli, vecchie formazioni rimaste a lungo fuori legge (fra cui la Jama al Islamiyya, da cui uscì il sicario del Presidente Sadat nel 1981), addirittura partiti formati da confraternite sufi (mistiche). Certo nessuno di questi gruppi può vantare la capillare ed antica presenza sul territorio dei Fratelli Musulmani, socialmente attivissimi, tanto da costituire spesso l’unico aiuto per molti egiziani sotto la soglia di povertà. Ecco perché anche un vecchio partito di ispirazione socialista quale al-Wafd aveva cercato, all’inizio dell’estate, di entrare in una coalizione politica coi Fratelli. Ma l’alleanza è terminata prima ancora di giungere alle urne.
La presenza di questa ampia scelta islamista preoccupa i partiti “laici” , alcuni dei quali evitano di definirsi tali in un Paese in cui, per molti, “laicità” è sinonimo di “ateismo”. Fra questi, spicca al-Adl, il Partito della Giustizia, nato in piazza Tahrir nei giorni caldi della rivoluzione, quando giovani e meno giovani professionisti decisero di costituire un partito di tecnici liberi da ogni ideologia e dediti solo a mettere l’Egitto sulla strada delle riforme e di una nuova economia.
Difficile prevedere quale dei 35 partiti e quali fra i candidati indipendenti nelle liste a disposizione degli elettori egiziani emergeranno il prossimo 28 novembre. La sfida, in ultima analisi, è fra l’auspicabile varo di una società pluralistica e democratica o la continuazione di un sistema dispotico, sia esso vestito con l’uniforme militare o con un turbante pseudo-religioso.
Tamburi di guerra contro l’Iran
Fra chi batte la grancassa ci sono anche alcune scrittrici iraniane emigrate negli US: leggi il mio nuovo art. :
http://www.grandemedioriente.it/category/rubriche/medioriente-di-genere
Donne medico e musulmane: tra Italia e Somalia
Un articolo su grandemedioriente.it:
http://www.grandemedioriente.it/donne-medico-e-musulmane-tra-italia-e-somalia-5727
Erdogan,”sponsor” di an-Nahda?
leggi il mio articolo sul Giornale di Brescia del 29/10/2011:
Si sono chiuse le urne tunisine e gran parte del mondo s’è rallegrata soprattutto per l’alta percentuale di votanti, quasi a voler esorcizzare la preoccupazione per l’avanzata generale dei partiti islamici, per quanto moderati essi siano. Tale preoccupazione si trasforma in autentica paura in molti tunisini, i quali temono che l’avvento al potere di an-Nahda possa condurre ad un futuro e rapido deterioramento di alcune prerogative già acquisite decadi or sono, quali un codice di famiglia progressista, la facoltà di professare religioni diverse da quella maggioritaria, la presenza capillare e visibile delle donne nella società.
Al di là delle affermazioni dei leader del partito vincitore, che continuano a ribadire di non costituire un pericolo per le libertà personali dei tunisini, due cose sono certe: sono cambiati tanto i modelli perseguiti dall’islam politico globale, quanto le popolazioni musulmane. Nessuno può oggi pensare di poter instaurare un regime “all’iraniana” come accaduto negli anni ’80, e le stesse rivolte nei paesi arabi contro le dittature laico-militari hanno dimostrato come tutti i cittadini siano più che mai desiderosi di democrazia e libertà, seppur modellate secondo le loro esigenze, ovvero, declinando democrazia e libertà all’interno di una cornice religiosa-islamica. A questo proposito, è utile ricordare come sia piuttosto la Turchia a costituire un modello per gli stati arabi mediterranei. In questi anni di governo, l’AKP guidato da Erdoğan ha dimostrato non solo di essere in grado di mantenere un vasto consenso fra i propri elettori, ma pure di conquistare cittadini precedentemente contrari a votare per un partito religioso, grazie a una politica di inclusione di tutti e di mantenimento degli standard di vita “laici”. E’ stato proprio Erdoğan, nel suo tour settembrino tra Tunisia e Egitto, a sventolare il “modello turco” fondato sulla democrazia e la laicità, in cui tutte le religioni vengono ugualmente rispettate, che neutralizza le possibili minacce delle forze armate e riconosce alle minoranze pari dignità e piena legittimità, come un modello copiabile anche in altri paesi. Vista la situazione generale della Turchia, il livello di benessere conseguito, l’espansione economica e il ruolo prestigioso che il Paese s’è conquistato durante gli anni di governo di Erdoğan, l’AKP non poteva regalare spot migliore ai colleghi tunisini di an-Nahda.
Certamente, comunque, i tunisini hanno votato il partito più distante dal dittatore Ben Ali appena rovesciato, ma il fatto che an-Nahda abbia raccolto un ampio consenso anche tra i numerosi tunisini residenti all’estero merita una considerazione a parte, che investe il fallimento di un certo modello laico, nonché dei partiti che l’appoggiano, tanto in Tunisia quanto nella sponda settentrionale del Mediterraneo. Se molti tunisini residenti in Francia e in Italia, infatti, pur vivendo nel contesto di società laiche, che consentono anche a loro ampie libertà, hanno votato per un partito religioso, significa che il laicismo non è un formato gradito a tutti. Tutti, piuttosto, credono nella democrazia e nella libertà, ma intendono perseguire ed attuare queste due categorie secondo modalità, formule e credenze loro proprie.