Martedì 09 Novembre 2010 14:13
Bhutto, è un documentario, non un film, che ripercorre la vita di Benazir Bhutto, prima donna ministro nel mondo islamico moderno, uccisa da un attentato a Rawalpindi nel 2007.
Voluto e prodotto da Mark Siegel, Bhutto ripropone in immagini quanto già espresso in Daughter of the East (1^ ed. 1988) autobiografia di Benazir in cui però il sapiente intervento
di Siegel è stato fondamentale. Risultato: un grande panegirico della statista pakistana, della quale si vuole proiettare un’immagine globale completamente positiva, di donna che
ha lottato strenuamente per il bene del proprio paese, un’eroina che ha avuto come unico difetto quello di stare sempre dalla parte della democrazia, contro l’oscurantismo islamico
e i nemici del popolo pakistano. Immagini di Benazir e spezzoni dei suoi discorsi sono costantemente cuciti dagli interventi apologetici di Siegel e di altre consigliere americane, dalle
lacrime dell’improponibile vedovo di Benazir, Asif Ali Zardari, ora Presidente del Pakistan, e di altri familiari. Uniche voci fuori dal coro sono quelle dello scrittore Tariq Ali (ma che
non si esprime apertamente contro l’operato della Bhutto) e di Fatima, figlia di Murtaza, il fratello di Benazir ucciso dalla polizia pakistana nel 1996, mentre lei espletava il secondo mandato.
Murtaza era in aperto contrasto con la politica della sorella e con il cognato Zardari, uomo notoriamente corrotto, e l’ombra del sospetto di fratricidio s’è più volte allungato su Benazir.
Ma a Fatima lasciano solo dire che “Benazir non era femminista”, come se questo fosse motivo di vanto. In realtà, è vero che Benazir non ha fatto nulla, in ben 2 mandati, per migliorare la s
ituazione femminile pakistana, neppure un tentativo di abrogare le terribili leggi hodud varate dal tiranno Zia al-Haqq e di cui hanno fatto le spese soprattutto le donne, confermandosi quale
token woman utile per convogliare aiuti internazionali in Pakistan, purtroppo non a beneficio dei pakistani, ma delle casse della famiglia Bhutto-Zardari. Tutte verità che questo patinato rendiconto
da 1001 notte si guarda bene di toccare, anche per assolvere la politica americana.
Ma, nonostante tutti questi sforzi, rimane l’assordante silenzio del documentario su ciò che Benazir, nel bene o nel male, ha fatto per il Pakistan.