Ciador art: neo Orientalismo e repressione

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Iranian contemporary art is renown and appreciated by the international art venues where it has been introduced by Shirin Neshat’s performances and photos of veiled women covered by Persian-Arabic calligraphy. 
This exotic aspect is highly coveted by the global art markets, while in Iran many criticize this neo  Orientalistic approach by calling it “ciador art”, as the veil is its main protagonist. Critics maintain that the West interest in an art characterized by ethnic alterity and burden with issues of sexual inequality penalizes the developing of a universal language among the contemporary Iranian artists. 
This paper explores the ethnic and gender boundaries in which Western market confines Iranian contemporary art and the way in which the Western discourse is colonizing Iranian artists.(Mondi Migranti, giugno 2014)

Iraq e lotta per la leadership nell’area

Unrest in Iraq

La conquista di Mosul e di Tikrit da parte delle forze dell’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) conferma che la sigla non raccoglie vari gruppi di estremisti disorganizzati e senza un piano, ma costituisce un vero e proprio esercito in grado di impadronirsi della seconda città dell’Iraq, impossessandosi di ingenti risorse (si parla di centinaia di milioni di dollari rubati alle banche locali) e costituendo una preoccupante sfida non solo al governo di Baghdad, ma all’intera area.

Che non si potesse contare sul debole e corrotto governo di Maliki era notorio: tra le varie colpe del premier va annotata pure la trasformazione della forza di sicurezza nazionale in un corpo di polizia personale volto a controllare e reprimere i suoi nemici politici anziché difendere il Paese. Resta da capire, però, come abbiano fatto migliaia di uomini a trasferirsi dalla Siria senza essere intercettati, ad arruolare quegli iracheni (perlopiù sunniti, molti dei quali appartenenti alla vecchia guardia di Saddam) colpiti dalla politica settaria e corrotta di Maliki e a diventare una minaccia per la regione.

Il governo iraniano, in particolare, è preoccupato per questo rafforzamento di un’enclave jihadista/sunnita in Iraq e dalla minaccia dell’ISIS di colpire i santuari sciiti di Najaf e Karbala. A Tehran, però, i toni sono assai più cauti che in passato, soprattutto nei confronti dell’Arabia Saudita, da sempre accusata di essere il principale finanziatore dell’ISIS, ma con la quale ultimamente c’è un stato un riavvicinamento diplomatico. Nel web circolano i commenti del capo delle forze rivoluzionarie iraniane, Ghassem Suleimani, il quale promette aiuto e protezione ai correligionari sciiti iracheni e ai loro luoghi sacri, ma un consistente impegno militare iraniano appare quanto mai improbabile, giacché il teatro di guerra siriano drena da tempo ingenti risorse militari e finanziarie. Di certo, la piega che stanno prendendo gli eventi iracheni comporta un serio indebolimento delle aspirazioni iraniane alla leadership nell’area, e marca l’apparente vittoria dell’Arabia Saudita, principale rivale dell’Iran.

Neppure i sauditi, però, possono essere contenti di questa affermazione del fronte jihadista, anche se ne hanno abbondantemente finanziato alcuni gruppi, fintanto che questi rimanevano in Siria a fare da barriera anti-Iran. Ora però che gli islamisti militanti si sono aggregati sotto la bandiera dell’ISIS e perseguono un stato che contrasta e sfida le pretese saudite di rappresentare l’unica e legittima autorità del mondo islamico, i sauditi cercano di prenderne le distanze.

Totalmente sconfitti appaiono gli Stati Uniti, che raccolgono l’ennesimo fiasco dopo una lunga e costosa operazione di “democratizzazione” in Medio Oriente, con conseguente pericolo per la sicurezza del Golfo e il transito del petrolio.

Il principale perdente, comunque, è la società civile irachena che ripiomba nel caos dopo oltre un decennio di enormi difficoltà e pochi vantaggi ricevuti nel post Saddam, sacrificata dalle mire egemoniche delle potenze confinanti. Un intervento diplomatico appare pressoché impossibile, anche perché l’ISIS è perlopiù animato da combattenti interessati solo alla opzione militare, fino alla morte. Una posizione estrema che, paradossalmente, potrebbe provocare la sua implosione.

da Giornale di Brescia, 13/6/2014

Donne velate, piscina e corruzione

wecandoittoobytuffix-d5efu7fNelle scorse settimane, la piscina comunale di Venezia-Mestre ha varato un esperimento: per consentire alle donne che portano il velo di accedere alla struttura, hanno riservato a loro (e a tutte le altre, pure con i bambini) l’ingresso per  un paio d’ore, quattro domeniche consecutive. Apriti cielo: i paladini della modernità, anti oscurantismo, difensori delle donne (?!) e bla bla bla hanno picchettato l’ingresso alla piscina, chiamato in causa le autorità comunali, costretto la polizia anti sommossa all’intervento. Il governatore della Regione, Zaia, ha parlato di inacettabile processo di islamizzazione iniziato con le polemiche sul crocefisso in classe (la cui rimozione, peraltro, era stata chiesta da una donna atea d’origine filandese). Insomma, un putiferio. Capisco: le donne con il velo sono un elemento destabilizzante, inquietano, spingono la gente a prendere posizione, a scendere in piazza. E’ un problema grave, altro che l’ennesimo scandalo per corruzione di cui si sono resi colpevoli i più alti gradi dell’amministrazione locale, sindaci, governatori ecc. Per lo scandalo del Mose nessuno scenderà in piazza: per le donne velate in piscina, sì.

Potenze del Golfo, Cassandra e … Anna Vanzan

ridottoLeggendo le notizie di questi giorni riguardandi la zona del Golfo, dallo scandalo dei mondiali di calcio 2022 assegnati al Qatar grazie alle tangenti pagate da Doha, all’inasprimento della pressione dei vari petro-monarchi sulla società civile, non posso non pensare a quanto ho scritto a proposito, ad esempio, in Primavere rosa:

Nonostante, infatti, le autorità dei vari paesi commissionino a prestigiose agenzie internazionali patinati reportage per dimostrare il proprio avanzamento nelle politiche di genere, sbandierando le posizioni apicali ottenute da poche token women spesso facenti parte proprio delle famiglie al governo, la realtà quotidiana è diversa. Ad esempio, le autorità saudite vantano la presenza di migliaia di donne d’affari sul loro territorio, ma si tratta in realtà perlopiù di prestanome femminili per aziende in solide mani maschili: le saudite, infatti, rappresentano solo il 17% della forza lavoro del Paese.

Non credo di avere detto sconvolgenti verità da novella Cassandra, solo verità scomode per troppi, compresi gli occidentali che fanno lauti affari del Golfo, tornando entusiasti da Dubai, dove si può comperare tutto, inclusi i diritti umani, o schifati da Ryadh, dove le donne “sono tutte imbacuccate e non ci sono le discoteche”. Ma pecunia non olet  , quindi evviva gli affari con i sauditi. Gli stati del Golfo comperano e gli occidentali si fanno comperare.