Leggendo le notizie di questi giorni riguardandi la zona del Golfo, dallo scandalo dei mondiali di calcio 2022 assegnati al Qatar grazie alle tangenti pagate da Doha, all’inasprimento della pressione dei vari petro-monarchi sulla società civile, non posso non pensare a quanto ho scritto a proposito, ad esempio, in Primavere rosa:
Nonostante, infatti, le autorità dei vari paesi commissionino a prestigiose agenzie internazionali patinati reportage per dimostrare il proprio avanzamento nelle politiche di genere, sbandierando le posizioni apicali ottenute da poche token women spesso facenti parte proprio delle famiglie al governo, la realtà quotidiana è diversa. Ad esempio, le autorità saudite vantano la presenza di migliaia di donne d’affari sul loro territorio, ma si tratta in realtà perlopiù di prestanome femminili per aziende in solide mani maschili: le saudite, infatti, rappresentano solo il 17% della forza lavoro del Paese.
Non credo di avere detto sconvolgenti verità da novella Cassandra, solo verità scomode per troppi, compresi gli occidentali che fanno lauti affari del Golfo, tornando entusiasti da Dubai, dove si può comperare tutto, inclusi i diritti umani, o schifati da Ryadh, dove le donne “sono tutte imbacuccate e non ci sono le discoteche”. Ma pecunia non olet , quindi evviva gli affari con i sauditi. Gli stati del Golfo comperano e gli occidentali si fanno comperare.