Turchia: Steinbeck, laici e islamici…

turkey10bA sorpresa, il primo ministro turco Erdoğan ha rimpastato il suo governo sostituendo ben quattro ministri, perlopiù in posti chiave quali il Ministero degli Interni, della Giustizia, della Cultura e Turismo e della Sanità. Gli osservatori locali inseriscono la manovra (cui Erdoğan, peraltro, non è nuovo) nella strategia per le prossime amministrative che si terranno nel 2014: e, difatti, il premier ha esonerato dall’incarico alla Cultura Ertuğul Gűnay dopo anni di ottimo lavoro solo per permettergli di candidarsi sindaco a Izmir, carica solitamente vinta dal partito d’opposizione repubblicano (CHP). Izmir è ritenuta un bastione “laico”, ma è luogo troppo importante perché il partito al governo (AKP) se la lascia scappare, ed ecco quindi che l’AKP candida alla sua guida uno stimato ex ministro di tendenze laiche e liberali.

Proprio da Izmir era partita il mese scorso un’offensiva contro Erdoğan, di natura culturale: il locale direttivo della pubblica istruzione, infatti, aveva criticato la decisione del governo centrale di includere nella lista dei cento libri indispensabili nel curriculum scolastico di ogni cittadino turco il romanzo Uomini e topi di Steinbeck, giudicandone alcuni passaggi “volgari e razzisti”. Il paradossale (in quanto lanciato proprio da un’amministrazione “laica”) attacco nei confronti del Ministero della Cultura ha avuto così l’effetto di richiamare l’attenzione del governo centrale verso le coste egee.

La polemica scaturita ha gettato benzina sul fuoco della diatriba tra l’anima secolare e quella religiosa turche, particolarmente accesa in questo periodo in cui la Turchia sta revisionando la propria Costituzione, per la cui stesura l’AKP deve necessariamente cercare la collaborazione del CHP, principale partito d’opposizione. La seconda alternativa sarebbe rappresentata dal partito ultranazionalista (MHP), ma ciò rappresenterebbe sia un allontanamento della Turchia dall’Europa (e della sua possibile entrata nella UE) sia un ritorno indietro nella trattativa di riappacificazione con la componente curda ultimamente intensamente perseguita dal governo.

La collaborazione tra l’AKP e il CHP sembra quindi la strada più naturale ed auspicabile, ma, ovviamente, non senza intoppi. Il CHP, animato da laici moderati e da intransigenti kemalisti, rimprovera al partito di governo, tra l’altro, di praticare una politica non meritocratica favorendo l’occupazione dei posti pubblici di cittadini di “comprovata fede musulmana” a discapito degli altri. L’AKP, di rimando, risponde che per quasi cent’anni la Turchia è stata dominata dai LAST (turchi laici, ataturkisti, sunniti) a molti dei quali sono stati assegnati incarichi non per merito ma per “comprovata fede kemalista”.

Resta la necessità, da parte del governo turco, di comporre quanto prima la questione curda, anche per portare a casa un risultato positivo dopo alcuni fallimenti verificatisi in politica estera, soprattuto in relazione alla situazione siriana: fintanto che il regime di Bashar al-Assad rimane saldo in sella, infatti, la Turchia non riesce a perseguire il suo scopo di proporsi come nazione leader nell’area.

Erdoğan e i suoi continuano a farsi forti nel buoni risultati in campo economico e della stabilità del Paese in questo senso: a breve vedremo se ciò basterà a garantire all’AKP la guida della Turchia.

 

dal Giornale di Brescia 28/1/2013.

 

 

Non dimentichiamoci l’Iraq….

images (4)L’attenzione internazionale ha spostato da tempo i riflettori dall’Iraq, ma il Paese rappresenta più che mai un utile laboratorio di lezioni da imparare ed applicare al Medio Oriente allargato. Se la caduta di Saddam ha rappresentato l’emergere della componente sciita maggioritaria per anni vessata da quella sunnita, il dopo Saddam si sta contraddistinguendo per un banale rovesciamento delle posizioni, con i sunniti che protestano lamentando disparità e sperequazioni compiuti ai loro danni dal governo sciita.

Certo i sunniti hanno le loro ragioni se a loro favore s’è recentemente espresso addirittura un leader sciita del calibro di Muqtada al Sadr, ma i partiti sunniti, che stanno puntando ad un’ulteriore smembramento del Paese con lo scopo di ottenere uno stato indipendente sul modello di quello curdo, non si peritano di servirsi, per i loro scopi secessionisti, di militanti affiliati ad al Qaeda. Molti di questi ultimi si sono infiltrati in Siria, con l’intendo di abbattere il regime alawita e di instaurare regimi oltranzisti tanto in patria quanto nella Siria dell’inevitabile post Assad.

E se l’Iraq non può essere paragonato alla Siria per numero di vittime civili, certamente non offre l’immagine di un paese pacificato, con un numero di morti che supera, per il solo 2012, le 4mila unità, morti causati perlopiù dallo scoppio di oltre 900 bombe che hanno causato altresì migliaia di feriti. Per consolarsi del fallimento iracheno alcune osservatori statunitensi hanno affermato sulla stampa nazionale che l’Iraq è assai pacifico di alcune province americane, quelle quella di Chicago, dove le vittime di delitti vari superano, in percentuale, quelle provocate dalla lotta tra fazioni irachene.

Ma l’Iraq è l’esempio lampante di errori commessi in passato e che adesso si stanno perpetuando contro altri regimi: ad esempio, le sanzioni adottate 1991 al 2003 contro l’Iraq non hanno per niente indebolito Saddam, anzi, l’hanno rafforzato, mentre hanno fiaccato la popolazione civile. E la conseguente svalutazione ha ucciso la classe media, costretta alla povertà o alla migrazione. Il prezzo del rovesciamento del regime di Saddam e la conseguente occupazione militare è stato pagato dalla popolazione irachena anche in termini di salute: secondo l’OMS nel Paese si registrano tassi di mortalità infantile preoccupanti, dovuti a inquinamento da piombo e mercurio contenuti nelle munizioni usate dalle truppe NATO. In Iraq esistono 750 mila vedove, molte delle quali disposte a diventare seconde mogli di qualcuno pur di evitare la fame o la strada della prostituzione che ora costituisce un business in aumento esponenziale. E in quell’Iraq che nel 1982 aveva ottenuto un riconoscimento dall’UNESCO per essere riuscito a debellare l’ analfabetizzazione, ora si trovano sempre più persone incapaci di leggere e scrivere, in percentuale che fra le donne supera il 30%.

L’instabilità politica irachena provoca una spirale di violenza che trova terreno fertile fra una popolazione oltremodo provata e, a tratti, “imbarbarita”, anche se le condizioni per favorire un ritorno dell’economia ci sarebbero: basti pensare che, con il crollo dell’esportazioni petrolifere iraniane, l’Iraq è ora secondo solo all’Arabia Saudita per la produzione dell’oro nero. Ma il petrolio rischia di divenire un ennesimo motivo di scontri: i curdi iracheni, infatti, hanno già siglato lucrosi contratti con compagnie internazionali (quali la Exxon e la Total) che tagliano fuori il governo di Baghdad. Quest’ultimo ha protestato ribadendo che solo il governo centrale ha il potere per firmare accordi che coinvolgano lo sfruttamento di energie nazionali.

da 15/1/2013.

India: donne, potere e donne al potere

aa-India-women-protestingL’India è scossa da un’ondata di proteste senza precedenti contro le violenze sessuali che hanno causato in pochi giorni la morte di una ragazza e il ferimento di altre. La violenza contro le donne nel Paese non rappresenta certo una novità: da decadi le organizzazioni femminili e quelle per i diritti umani si battono per denunciare le varie forme di sopruso di cui le indiane sono vittime quotidiane, addirittura prima delle nascita, che a moltissime viene preclusa (il fenomeno dell’amniocentesi usata per determinare il sesso del nascituro e sbarazzarsi delle femmine è tanto diffuso quanto esecrabile). Per non parlare delle discriminazioni cui una indiana è soggetta, quali le limitazioni dei suoi diritti alla proprietà terriera e al possesso di beni in genere; la discriminazione di salario e posizione nel luogo di lavoro; il minore accesso all’istruzione e la maggiore percentuale di abbandono degli studi rispetto ai maschi; la posizione di inferiorità nella conduzione della famiglia.

Certo vi sono onorevoli eccezioni, basti pensare che l’India è stata uno dei primi Paesi al mondo a avere una premier donna e che l’attuale presidente del Partito di maggioranza è una donna, per di più di origine straniere: ma la elezione di Indira e Sonia Gandhi è dovuta perlopiù alla loro vicinanza con potenti leader maschi del Paese. Anche altre donne che hanno raggiunto posizioni importanti in India debbono le loro carriere al vantaggio dinastico, più che a una reale volontà generale di riconoscere alle donne un ruolo apicale.

Inoltre, per mantenere il potere sono costrette a non occuparsi di politiche di genere, in quanto sarebbe visto come una debolezza, un’ammissione che le donne, quando elette, si occupano di questioni “di donne”. Ciò, in parte, spiega, anche se non giustifica, l’apparente distacco di Sonia Gandhi da quanto sta accadendo nel suo Paese, che si sta però ribellando e sta reagendo in modo diverso dal passato contro l’abuso nei confronti delle donne. I cortei che serpeggiano nelle piazze indiane chiedono giustizia, nuove leggi e maggiore controllo su chi le applica, dalle forze di polizia (queste ultime spesso colpevoli di reticenza, se non addirittura di complicità coi violentatori) ai magistrati: nel 2011, solo il 26% degli oltre 24mila casi di violenza contro le donne denunciati sono stati puniti.

Il fatto che l’ordine degli avvocati indiani rifiuti ora di difendere i violentatori è un importante segnale del cambiamento della mentalità di un’intera nazione, così come la presenza di molti uomini nei cortei di protesta. Altrettanto importante è che lo Stato abbia finalmente deciso di intervenire addestrando corpi speciali di polizia femminile e che molte regioni stiano istituendo centralini d’ascolto per aiutare le indiane in difficoltà. Ma il decisivo e necessario declino di questa violenza richiede l’azione congiunta di tutti i settori della società civile, a cominciare dalla famiglia, nella quale si consumano violenze quotidiane anche da parte di altre donne. I quotidiani riportano storie ordinarie di indiane che vengono percosse, o addirittura uccise dalle suocere per questioni di dote, delitti poi mascherati da falsi incidenti domestici. Molte mogli sono regolarmente picchiate dai mariti all’interno di matrimoni infelici perché per la maggior parte ancora combinati come vuole la tradizione, mentre la società ha oramai preso un’altra strada.

Le indiane sono ormai mature e non si riconoscono più nello stereotipo creato da Bollywood che le vuole tutte moine e danze per i loro amati; esse chiedono rispetto, pari opportunità e partecipazione alla vita del loro Paese.

 

da Giornale di Brescia 5/1/2013