L’India è scossa da un’ondata di proteste senza precedenti contro le violenze sessuali che hanno causato in pochi giorni la morte di una ragazza e il ferimento di altre. La violenza contro le donne nel Paese non rappresenta certo una novità: da decadi le organizzazioni femminili e quelle per i diritti umani si battono per denunciare le varie forme di sopruso di cui le indiane sono vittime quotidiane, addirittura prima delle nascita, che a moltissime viene preclusa (il fenomeno dell’amniocentesi usata per determinare il sesso del nascituro e sbarazzarsi delle femmine è tanto diffuso quanto esecrabile). Per non parlare delle discriminazioni cui una indiana è soggetta, quali le limitazioni dei suoi diritti alla proprietà terriera e al possesso di beni in genere; la discriminazione di salario e posizione nel luogo di lavoro; il minore accesso all’istruzione e la maggiore percentuale di abbandono degli studi rispetto ai maschi; la posizione di inferiorità nella conduzione della famiglia.
Certo vi sono onorevoli eccezioni, basti pensare che l’India è stata uno dei primi Paesi al mondo a avere una premier donna e che l’attuale presidente del Partito di maggioranza è una donna, per di più di origine straniere: ma la elezione di Indira e Sonia Gandhi è dovuta perlopiù alla loro vicinanza con potenti leader maschi del Paese. Anche altre donne che hanno raggiunto posizioni importanti in India debbono le loro carriere al vantaggio dinastico, più che a una reale volontà generale di riconoscere alle donne un ruolo apicale.
Inoltre, per mantenere il potere sono costrette a non occuparsi di politiche di genere, in quanto sarebbe visto come una debolezza, un’ammissione che le donne, quando elette, si occupano di questioni “di donne”. Ciò, in parte, spiega, anche se non giustifica, l’apparente distacco di Sonia Gandhi da quanto sta accadendo nel suo Paese, che si sta però ribellando e sta reagendo in modo diverso dal passato contro l’abuso nei confronti delle donne. I cortei che serpeggiano nelle piazze indiane chiedono giustizia, nuove leggi e maggiore controllo su chi le applica, dalle forze di polizia (queste ultime spesso colpevoli di reticenza, se non addirittura di complicità coi violentatori) ai magistrati: nel 2011, solo il 26% degli oltre 24mila casi di violenza contro le donne denunciati sono stati puniti.
Il fatto che l’ordine degli avvocati indiani rifiuti ora di difendere i violentatori è un importante segnale del cambiamento della mentalità di un’intera nazione, così come la presenza di molti uomini nei cortei di protesta. Altrettanto importante è che lo Stato abbia finalmente deciso di intervenire addestrando corpi speciali di polizia femminile e che molte regioni stiano istituendo centralini d’ascolto per aiutare le indiane in difficoltà. Ma il decisivo e necessario declino di questa violenza richiede l’azione congiunta di tutti i settori della società civile, a cominciare dalla famiglia, nella quale si consumano violenze quotidiane anche da parte di altre donne. I quotidiani riportano storie ordinarie di indiane che vengono percosse, o addirittura uccise dalle suocere per questioni di dote, delitti poi mascherati da falsi incidenti domestici. Molte mogli sono regolarmente picchiate dai mariti all’interno di matrimoni infelici perché per la maggior parte ancora combinati come vuole la tradizione, mentre la società ha oramai preso un’altra strada.
Le indiane sono ormai mature e non si riconoscono più nello stereotipo creato da Bollywood che le vuole tutte moine e danze per i loro amati; esse chiedono rispetto, pari opportunità e partecipazione alla vita del loro Paese.
da Giornale di Brescia 5/1/2013