Di nuovo Erdogan

La Turchia torna a votare e tutto sembra indicare una nuova schiacciante vittoria del partito al governo, l’AKP di Recep Erdoĝan: alcune proiezioni davano il partito attorno al 50%, ma la recente apparizione in internet di un video immortalante gli incontri di alcuni membri dell’ultranazionalista partito Milliyetçi Hareket Partisi (MHP) con giovanissime prostitute potrebbero rubare i voti al MHP facendo salire ulteriormente le quotazioni dell’AKP.

Il partito al governo si avvale molto del carisma personale di Erdoĝan, che riscuote anche l’approvazione di quei turchi che, pur non votandolo, apprezzano il lavoro da lui svolto durante questi otto anni. Il premierato di Erdoĝan ha riportato diversi successi, interni ed esterni: un notevole abbattimento dell’inflazione, un più diffuso benessere tra tutta la popolazione, ampi spiragli di composizione delle diatribe etnico- religiose, e, soprattutto, un’affermazione perentoria del prestigio della Turchia sul piano internazionale. Certamente la disoccupazione giovanile continua ad essere motivo di grave malcontento, per non parlare dei non completamente sedati dissidi con la minoritaria componente curda. Ma è soprattutto sul piano internazionale che Recep Erdoĝan ha vinto una cruciale partita, riportando il suo Paese ai fasti della diplomazia ottomana: molti dei paesi arabi guardano ad Ankara come modello da imitare per il suo sapiente equilibrio tra modernità e tradizione, ovvero per la salvaguardia dei costumi islamici e la spinta verso democrazia e modernizzazione. Un’inchiesta condotta nello scorso aprile dal Pew Research Center’s Global Attitudes Project (PRCGP) mostra, ad esempio, come la stragrande maggioranza degli egiziani nutra piena fiducia nell’opera dell’AKP, sentimento condiviso anche dai giordani (ricordiamo che la Turchia si è eretta quale difensore dei diritti dei palestinesi, molti dei quali risiedono proprio in Giordania) e dai pakistani (ampiamente aiutati da Ankara durante le terribili inondazioni del 2010). In questi anni Erdoĝan ha tessuto accordi politico-commerciali con i più importanti paesi asiatici, perfino con il nemico di sempre, l’Iran, e al contempo ha continuato a tendere la mano verso l’Europa. Ma qui, sempre secondo l’inchiesta del PRCGP, si annidano diversi “turcoscettici” che non si lasciano ammaliare dai completi giacca-cravatta del primo ministro turco e non vogliono ammettere Ankara all’affollato tavolo di Bruxelles. Erdoĝan, peraltro, continua imperterrito a porsi come interlocutore nelle situazioni che l’Europa non riesce a sbrogliare, quali il nucleare iraniano (la Turchia è stata sede di incontri tra Iran e la commissione internazionale per l’energia atomica) fino a giungere alla recentissima offerta di garantire al colonnello Gheddafi una uscita protetta dal suo paese con conseguente fine delle guerra che lo sta insanguinando. Un brillante colpo di coda rivelante l’inesauribile energia nel tessere trame internazionali del primo ministro turco e destinato a spiazzare pure quei suoi oppositori che in questi ultimi giorni di campagna elettorale si sono dati da fare per sottolineare il suo aspetto affaticato ed invecchiato. Certo Erdoĝan ha sottolineato più volte come questa sia l’ultima tornata elettorale che intende affrontare, ma i più cinici affermano che, dopo quest’ultimo premierato, egli punterebbe a divenire presidente della repubblica turca. Un compito non certo impossibile per un uomo che riscuote un successo personale paragonabile solo al suo antesignano rivale, il mitico Kemal Atatürk, e che, se riuscisse a porre fine al pantano libico, accrescerebbe le credenziali per un’entrata in Europa del suo Paese.