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Archivio mensile:gennaio 2012
Arifa e le donne in Pakistan
leggi l’art. nella rubrica Mediorentedigenere in grandemedioriente.it
Pakistan e occidente
Il rapimento del cooperante italiano in Pakistan cade in una fase deteriorata delle relazioni con il mondo occidentale. In questi giorni, infatti, il Dipartimento di Stato Usa ha reso nota la richiesta del Governo pakistano di sospendere la visita a Islamabad del rappresentante per Pakistan e Afghanistan, l’ambasciatore Marc Grossman, finché il Parlamento pakistano non avrà rivisto la situazione delle relazioni Usa-Pakistan. Grossman è in missione tra gli Stati del Golfo, con destinazione finale Kabul, per raccogliere consenso ai previsti colloqui di pace coi Talebani.
Il veto alla missione Grossman arriva dopo il braccio di ferro iniziato a novembre, quando Washington ha chiesto a Islamabad di non firmare accordi con l’Iran per il trasporto energetico, scegliendo altri partner asiatici (es. il Turkmenistan). L’«invito» è stato rafforzato dalla minaccia di sanzioni se il Pakistan continuerà i rapporti commerciali con Teheran. Così, sempre a novembre, dopo l’uccisione da parte della Nato di 20 militari pakistani, Islamabad ha risposto bloccando 700 container di cibo destinato agli afghani. Ora Islamabad pare consentire lo sblocco del cargo, anche su pressione di Kabul. Ma la tensione resta. Sorge il dubbio che Islamabad voglia alzare la posta, ribadendo in modo caotico il proprio ruolo nel processo di pacificazione dell’area centrasiatica. Se, come si spera, l’Afghanistan troverà alfine stabilità, i porti pakistani costituiranno lo sbocco più naturale per l’esportazione del fantastico patrimonio minerario afghano; per non parlare dell’obbligato passaggio in Pakistan delle tubazioni del gas dal Turkmenistan all’India. La pacificazione afghana porterebbe dunque immensi benefici al Pakistan.
Per essere un primattore, però, il Pakistan deve prima risolvere le tensioni interne, ad esempio, dimostrando di poter controllare i milioni di rifugiati afghani (ufficialmente 2 milioni, ma, in realtà, almeno il doppio) che vivono in territorio pakistano, fra cui si celano talebani e qaedisti, responsabili di attentati in Pakistan e in Afghanistan. Ma fra i rifugiati si nascondono anche narcotrafficanti che curano il transito di droga dall’Afghanistan all’Occidente: se il Pakistan pensava di essere luogo di transito, s’è dovuto ricredere confrontandosi con le statistiche che vedono il consumo di oppiacei in crescita esponenziale tra la gioventù pakistana.
Islamabad deve pure dimostrare di stroncare le provocazioni di leader politici quali Shahzain Bugti, del Partito per l’indipendenza del Baluchistan, che ha appena annunciato di offrire una taglia (contanti, casa e protezione) a chi uccida l’ex presidente Musharraf, «colpevole» dell’uccisione di molti insorti baluchi quando era capo dell’esercito. Gesto che, non adeguatamente censurato dai pakistani, getta nuove ombre sulla loro credibilità.
questo articolo è comparso sul Giornale di Brescia del 21/1/2012.
Iran, attentati e tensioni interne
L’attentato al fisico nucleare iraniano Mostafa Ahmadi-Roshan si configura come l’ennesimo atto della guerra, non solo verbale, che si sta consumando da parecchio tempo tra l’Iran e il resto del mondo. L’assassinio, infatti, va ad aggiungersi ad una serie di sabotaggi cibernetici ai danni del programma nucleare iraniano, a due misteriose esplosioni all’interno di basi militari che hanno ucciso diversi ufficiali, e all’eliminazione fisica, sempre tramite attentati dinamitardi, di scienziati in forza al programma d’arricchimento dell’uranio in corso in Iran. La Repubblica Islamica punta il dito accusatore verso Israele e Stati Uniti, paesi che ufficialmente hanno negato ogni responsabilità in questa catena di luttuosi eventi; Washington, addirittura, ha ufficialmente condannato l’uccisione di Ahmadi-Roshan.
Il mondo guarda col fiato sospeso a questi accadimenti che sembrano farci precipitare verso la guerra, mentre nei giorni passati qualche debole spiraglio s’era aperto, sia grazie al salvataggio dei marinai iraniani ad opera della marina statunitense (gesto elogiato dalla autorità iraniane), sia, soprattutto, grazie all’apertura del Segretario alla Difesa americana Leon Panetta, il quale, dichiarando inaspettatamente che l’Iran sarebbe ben lontano dall’acquisire la forza nucleare, ha rinnovato l’invito ad una soluzione diplomatica del caso.
Intanto, la stretta delle sanzioni sta facendo il suo corso; anche la Cina ha ridotto notevolmente le proprie importazioni di petrolio iraniano, facendo entrare Tehran in fibrillazione. Il rial, la moneta ufficiale iraniana, ha toccato il suo minimo storico nei confronti del dollaro e il costo della vita continua a crescere: negli ultimi tre mesi il prezzo del latte è aumentato del 20%.
C’è comunque il rischio che le sanzioni non scoraggino Tehran dal perseguire il suo obiettivo nucleare: abbandonarlo ora significherebbe una perdita di prestigio interno incommensurabile. Ma pure il principale contendente iraniano, ovvero gli Stati Uniti, rischia la faccia: Obama non può dimostrarsi timido di fonte alle minacce iraniane, pena la sua non rielezione.
Intanto, in Iran vi è palpabile scontento fra la popolazione e apprensione fra le autorità a circa due mesi dall’appuntamento elettorale. Memore di quanto accaduto nel giugno 2009, la censura si è già organizzata setacciando ogni internet café, rafforzando la sorveglianza sui documenti esibiti dagli utenti e controllando i siti consultati. Oltre alla figlia di Rasfanjani, in questi giorni sono stati fermati dalla polizia altri dissidenti, giornalisti, politici, mentre i leader dell’Onda Verde Mousavi e Karroubi sono agli arresti domiciliari ormai da parecchi mesi. Questa politica intimidatoria è opposta a quella solitamente praticata dal regime, che, alla vigilia di appuntamenti elettorali, è solito liberare dei prigionieri politici e allargare le maglie della censura.
A differenza del 2009, infatti, c’è un ulteriore pericolo per il regime, ovvero l’esempio delle rivolte arabe che, pur ancora in corso, sono comunque riuscite a rovesciare i despoti in carica: un modello esportabile e pertanto assai temuto, anche se, al momento, non vi è traccia di primavera sull’altopiano.
Apparso su Il giornale di Brescia 13/1/2012.
Faezeh Rafsanjani rischia la prigione….
….ma io tifo per lei.