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Che fine ha fatto Ahmadinejad?

Che fine ha fatto Ahmadinejad? Dopo la batosta elettorale della primavera scorsa che ha annullato la compagine parlamentare a lui favorevole il Presidente della Repubblica Islamica d’Iran sembra scomparso, sia a livello interno quanto, soprattutto, a livello internazionale. Il count down per il suo ultimo anno di presidenza è iniziato da oltre un mese, ma politicamente Mahmoud Ahmadinejad è finito, annientato dai suoi avversari che si stanno combattendo ferocemente per la spartizione del potere, ma che ancora utilizzano la figura ormai caricaturale del Presidente per addossargli la colpa della sempre più profonda crisi economica che sta mettendo a dura prova la vita degli iraniani. Che la situazione economica sia drammatica è provato dal fatto che all’ultimo colloquio di Istanbul, avvenuto la settimana scorsa, per la prima volta Tehran ha chiesto l’annullamento delle sanzioni in cambio dello stop al famoso arricchimento al 20% dell’uranio. La maratona di 15 ore di colloquio tra Iran e le super potenze è passata inosservata, sia perché si è trattato di discorsi super tecnici, sia perché l’opinione pubblica internazionale sembra stanca di questa negoziazione che sembra essere infruttuosa e senza fine. Ma la draconiana stretta delle nuove sanzioni varate il primo luglio, che di fatto impediscono ai paesi dell’Unione europea di importare petrolio iraniano, sta provando il Paese dell’altopiano fuori d’ogni misura. Fino a oggi l’Iran poteva contare su ancora ingenti esportazioni del proprio oro nero, ma ora il mercato europeo è definitivamente chiuso, mentre l’Iraq ha ripreso a pompare per sostituire il petrolio iraniano.

Intanto, nel paese degli ayatollah l’inflazione ha toccato il 30% e la gente fatica sempre più ad arrivare a fine mese: il costo della vita ha raggiunto livelli europei, ma gli stipendi medi non raggiungono neppure la metà del corrispettivo europeo.

La frustrazione degli iraniani è altissima, e il loro senso di isolamento si è acuito. I paesi circostanti approfittano di questa debolezza, come l’Azerbaijan, che sta fomentando la ribellione contro il governo di Tehran dei suoi quasi 25 milioni di cittadini di ceppo azeri: Baku, in ottimi rapporti con Israele, è sospettata di offrire base logistica ad operazioni spionistiche israeliane in Iran, compresi i vari attacchi al sistema informatico nucleare iraniano grazie a dei virus, verificatisi nel recente passato. E il nemico più potente dell’area, l’Arabia Saudita, sta negando i visti ai cittadini iraniani che vogliono recarsi in pellegrinaggio nei luoghi sacri dell’islam, situati, appunto in territorio saudita. Al contempo, gli iraniani, che già da tempo diffidano delle linee aeree interne ormai da tempo carenti nella manutenzione (bloccata dalle sanzioni) ora diffidano pure delle tratte internazionali solitamente coperte dalla compagnia di bandiera, l’Iran Air, e i milioni di immigrati che solitamente tornano a casa per le vacanze estive si stanno accalcando sui voli delle compagnie aeree europee e su quelle dei paesi del Golfo.

L’Iran sembra essere allo stremo, ma le sue autorità temporeggiano ancora, convinte che, almeno sino alla prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ci sia margine per evitare eventuali attacchi bellici. Così anche nell’ultimo colloquio hanno negato la chiusura dell’impianto di Fordow, presso la città santa di Qom, strategicamente situato fra montagne difficilmente attaccabili militarmente.

Gli effetti della crisi iraniana, nel frattempo, sono arrivati in Italia: a Falconara Marittima la raffineria API, cliente abituale del petrolio iraniano, ha messo 400 dipendenti in cassa integrazione. Mentre l’ENI, in credito di 2 miliardi di dollari in petrolio greggio iraniano, potrebbe vedere il suo credito annullato, per rappresaglia, dalle autorità di Tehran, non nuove a questo tipo di guerra per via economica.

 pubblicato da Giornale di Brescia 12/7/2012.

Iran, attentati e tensioni interne

L’attentato al fisico nucleare iraniano Mostafa Ahmadi-Roshan si configura come l’ennesimo atto della guerra, non solo verbale, che si sta consumando da parecchio tempo tra l’Iran e il resto del mondo. L’assassinio, infatti, va ad aggiungersi ad una serie di sabotaggi cibernetici ai danni del programma nucleare iraniano, a due misteriose esplosioni all’interno di basi militari che hanno ucciso diversi ufficiali, e all’eliminazione fisica, sempre tramite attentati dinamitardi, di scienziati in forza al programma d’arricchimento dell’uranio in corso in Iran. La Repubblica Islamica punta il dito accusatore verso Israele e Stati Uniti, paesi che ufficialmente hanno negato ogni responsabilità in questa catena di luttuosi eventi; Washington, addirittura, ha ufficialmente condannato l’uccisione di Ahmadi-Roshan.

Il mondo guarda col fiato sospeso a questi accadimenti che sembrano farci precipitare verso la guerra, mentre nei giorni passati qualche debole spiraglio s’era aperto, sia grazie al salvataggio dei marinai iraniani ad opera della marina statunitense (gesto elogiato dalla autorità iraniane), sia, soprattutto, grazie all’apertura del Segretario alla Difesa americana Leon Panetta, il quale, dichiarando inaspettatamente che l’Iran sarebbe ben lontano dall’acquisire la forza nucleare, ha rinnovato l’invito ad una soluzione diplomatica del caso.

Intanto, la stretta delle sanzioni sta facendo il suo corso; anche la Cina ha ridotto notevolmente le proprie importazioni di petrolio iraniano, facendo entrare Tehran in fibrillazione. Il rial, la moneta ufficiale iraniana, ha toccato il suo minimo storico nei confronti del dollaro e il costo della vita continua a crescere: negli ultimi tre mesi il prezzo del latte è aumentato del 20%.

C’è comunque il rischio che le sanzioni non scoraggino Tehran dal perseguire il suo obiettivo nucleare: abbandonarlo ora significherebbe una perdita di prestigio interno incommensurabile. Ma pure il principale contendente iraniano, ovvero gli Stati Uniti, rischia la faccia: Obama non può dimostrarsi timido di fonte alle minacce iraniane, pena la sua non rielezione.

Intanto, in Iran vi è palpabile scontento fra la popolazione e apprensione fra le autorità a circa due mesi dall’appuntamento elettorale. Memore di quanto accaduto nel giugno 2009, la censura si è già organizzata setacciando ogni internet café, rafforzando la sorveglianza sui documenti esibiti dagli utenti e controllando i siti consultati. Oltre alla figlia di Rasfanjani, in questi giorni sono stati fermati dalla polizia altri dissidenti, giornalisti, politici, mentre i leader dell’Onda Verde Mousavi e Karroubi sono agli arresti domiciliari ormai da parecchi mesi. Questa politica intimidatoria è opposta a quella solitamente praticata dal regime, che, alla vigilia di appuntamenti elettorali, è solito liberare dei prigionieri politici e allargare le maglie della censura.

A differenza del 2009, infatti, c’è un ulteriore pericolo per il regime, ovvero l’esempio delle rivolte arabe che, pur ancora in corso, sono comunque riuscite a rovesciare i despoti in carica: un modello esportabile e pertanto assai temuto, anche se, al momento, non vi è traccia di primavera sull’altopiano.

Apparso su Il giornale di Brescia 13/1/2012.