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Iran: terremoto fisico e politico

Le catastrofi naturali sono banchi di prova per i governi dei paesi, così il terremoto che ha duramente colpito l’Iran occidentale lo scorso 11 agosto sta mettendo a nudo una serie di defaillance nella direzione della Repubblica Islamica, accusata sia di essere intervenuta con mezzi esigui a soccorso delle popolazioni colpite, sia di non aver dato tempestivi e ampi resoconti della disgrazia.

Il terremoto giunge ad acuire le sofferenze di una popolazione sempre più stremata da quella che è la peggior crisi economica da quando è stata varata la Repubblica Islamica, perfino peggiore di quella causata dalla lunga guerra contro l’Iraq negli anni ’80. La valuta nazionale (rial) è al minimo storico, e chi può investe il proprio denaro in valuta straniera, oro e proprietà immobiliari, svuotando le banche, dove i conti correnti valgono metà rispetto allo scorso anno. D’altro canto, il prezzo della vita è aumentato in modo esorbitante, e l’Iran sta soffrendo quella che viene chiamata “la crisi del pollo”: il volatile, che costituisce l’alimento base della dieta iraniana, ha visto il proprio prezzo triplicare in meno di un anno, e molti iraniani ormai non se lo possono più permettere. Tiene ancora bene il prezzo dell’altro cibo immancabile sulle tavole iraniane, il riso, che l’Iran compra dall’India in cambio di petrolio.

Ci si aspetterebbe la solita difesa da parte della autorità iraniane che costituisce nell’accusare “agenti esterni” per le sempre maggiori difficoltà economiche, ma ora questo gioco sembra finito: il regime ha sempre negato che le sanzioni internazionali lo stessero colpendo, e non può certo ammetterlo adesso.

La strada più semplice sembra l’individuazione di un capro espiatorio interno, e l’attuale Presidente della Repubblica sembra essere l’agnello sacrificale individuato. Accusato di aver favorito l’inflazione con una scriteriata politica dei sussidi, il Presidente ora rischia l’esautorazione ben prima che il suo mandato scada (giugno 2013), se non, addirittura, l’arresto, come ventilano voci interne. Ma anche in questa eventuale operazione la Guida Suprema del Paese, l’ayatollah Khamenei, ha le mani legate, se non altro, in parte: egli ha sempre sostenuto Ahmadinejad, anche di fronte ai tumulti del 2009 e almeno fino a un paio di anni or sono, e ora dovrebbe pubblicamente ammettere il proprio sbaglio madornale.

In questa situazione di impasse in cui tutti sono contro tutti, chi sopporta il peso della lunga crisi è la popolazione: quella colpita dal terremoto non può nemmeno contare sugli aiuti internazionali su cui pende la spada delle sanzioni. L’ufficio per il controllo dei capitali stranieri (OFAC) dipendente dal Ministero del tesoro statunitense ha pubblicato la lista dei beni da poter recapitare alla popolazione terremotata, ma il procedimento per far giungere medicinali e generi di prima necessità è così arzigogolato e difficile da renderlo impossibile. Nel contempo, le organizzazioni umanitarie internazionali lamentano come in Iran manchino medicinali di prima necessità, soprattutto pediatrici, carenza che costituisce un pericolo per giovanissima popolazione iraniana.

Se le sanzioni intendevano alimentare un possibile sollevamento popolare verso il regime, hanno fallito: la classe media iraniana, che costituisce il motore di rinnovamento e tensione verso la democrazia, è la più colpita ed incapace di organizzarsi, mentre i notabili del regime (incluso il corpo di guardie rivoluzionarie) dominano un’economia fatta di contrabbandi e scambi commerciali con paesi non allineati. A questo proposito, il 31 p.v. Tehran ospiterà il vertice dei paesi non allineati durante il quale il Presidente egiziano Morsi passerà la presidenza di turno all’Iran. La visita di Morsi è storica in quanto sarà la prima da parte di un alto responsabile egiziano in Iran da quando vige la Repubblica Islamica. Da quest’incontro il regime spera di trovare nuove alleanze e linfa per continuare. Resta da vedere quale sarà il destino degli iraniani.

da Giornale di Brescia 23/8/2012

Che fine ha fatto Ahmadinejad?

Che fine ha fatto Ahmadinejad? Dopo la batosta elettorale della primavera scorsa che ha annullato la compagine parlamentare a lui favorevole il Presidente della Repubblica Islamica d’Iran sembra scomparso, sia a livello interno quanto, soprattutto, a livello internazionale. Il count down per il suo ultimo anno di presidenza è iniziato da oltre un mese, ma politicamente Mahmoud Ahmadinejad è finito, annientato dai suoi avversari che si stanno combattendo ferocemente per la spartizione del potere, ma che ancora utilizzano la figura ormai caricaturale del Presidente per addossargli la colpa della sempre più profonda crisi economica che sta mettendo a dura prova la vita degli iraniani. Che la situazione economica sia drammatica è provato dal fatto che all’ultimo colloquio di Istanbul, avvenuto la settimana scorsa, per la prima volta Tehran ha chiesto l’annullamento delle sanzioni in cambio dello stop al famoso arricchimento al 20% dell’uranio. La maratona di 15 ore di colloquio tra Iran e le super potenze è passata inosservata, sia perché si è trattato di discorsi super tecnici, sia perché l’opinione pubblica internazionale sembra stanca di questa negoziazione che sembra essere infruttuosa e senza fine. Ma la draconiana stretta delle nuove sanzioni varate il primo luglio, che di fatto impediscono ai paesi dell’Unione europea di importare petrolio iraniano, sta provando il Paese dell’altopiano fuori d’ogni misura. Fino a oggi l’Iran poteva contare su ancora ingenti esportazioni del proprio oro nero, ma ora il mercato europeo è definitivamente chiuso, mentre l’Iraq ha ripreso a pompare per sostituire il petrolio iraniano.

Intanto, nel paese degli ayatollah l’inflazione ha toccato il 30% e la gente fatica sempre più ad arrivare a fine mese: il costo della vita ha raggiunto livelli europei, ma gli stipendi medi non raggiungono neppure la metà del corrispettivo europeo.

La frustrazione degli iraniani è altissima, e il loro senso di isolamento si è acuito. I paesi circostanti approfittano di questa debolezza, come l’Azerbaijan, che sta fomentando la ribellione contro il governo di Tehran dei suoi quasi 25 milioni di cittadini di ceppo azeri: Baku, in ottimi rapporti con Israele, è sospettata di offrire base logistica ad operazioni spionistiche israeliane in Iran, compresi i vari attacchi al sistema informatico nucleare iraniano grazie a dei virus, verificatisi nel recente passato. E il nemico più potente dell’area, l’Arabia Saudita, sta negando i visti ai cittadini iraniani che vogliono recarsi in pellegrinaggio nei luoghi sacri dell’islam, situati, appunto in territorio saudita. Al contempo, gli iraniani, che già da tempo diffidano delle linee aeree interne ormai da tempo carenti nella manutenzione (bloccata dalle sanzioni) ora diffidano pure delle tratte internazionali solitamente coperte dalla compagnia di bandiera, l’Iran Air, e i milioni di immigrati che solitamente tornano a casa per le vacanze estive si stanno accalcando sui voli delle compagnie aeree europee e su quelle dei paesi del Golfo.

L’Iran sembra essere allo stremo, ma le sue autorità temporeggiano ancora, convinte che, almeno sino alla prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ci sia margine per evitare eventuali attacchi bellici. Così anche nell’ultimo colloquio hanno negato la chiusura dell’impianto di Fordow, presso la città santa di Qom, strategicamente situato fra montagne difficilmente attaccabili militarmente.

Gli effetti della crisi iraniana, nel frattempo, sono arrivati in Italia: a Falconara Marittima la raffineria API, cliente abituale del petrolio iraniano, ha messo 400 dipendenti in cassa integrazione. Mentre l’ENI, in credito di 2 miliardi di dollari in petrolio greggio iraniano, potrebbe vedere il suo credito annullato, per rappresaglia, dalle autorità di Tehran, non nuove a questo tipo di guerra per via economica.

 pubblicato da Giornale di Brescia 12/7/2012.