Elezioni in Egitto

leggi il mio art. sul Giornale di Brescia del 12/11/2011:

Mentre la Tunisia lavora per varare un nuovo governo e redigere la prima costituzione democratica della sua storia, l’altro grande paese protagonista della “primavera araba”, ovvero l’Egitto, si prepara a un turno elettorale pieno di incognite e di preoccupazioni. In questa interminabile fase di transizione il potere continua a essere gestito dal Consiglio Supremo delle Forze Armate (CSFA) il quale, apparentemente, non dovrebbe giocare alcun ruolo nelle elezioni, ma solo garantirne lo svolgimento pacifico, per poi ritornare ai propri compiti di difesa dello stato. Tuttavia, in queste ultime settimane si sono verificati alcuni eventi che fanno presagire come l’esercito non sia intenzionato a lasciare il potere: dapprima, è giunta la candidatura alla presidenza di un alto ufficiale, Muhammad Husayn Tantawi, sostenuta da una lobby di militari; quindi, due proposte governative che prevedono, rispettivamente, la facoltà del CSFA di nominare 80 dei 100 membri della commissione incaricata di riscrivere la costituzione e la garanzia (inviolabile pure dalla futura costituzione) che il budget dei militari non potrà essere sottoposto ad alcun esame del parlamento. Si noti che l’esercito controlla, oltre a vari insediamenti industriali, un cospicuo patrimonio terriero (in un Paese la cui principale risorsa è l’agricoltura), nonché il Mar Rosso e il suo lucroso gettito turistico.

E’ altresì da considerare il fatto che, visti i tempi lunghi dell’iter procedurale egiziano (fra elezioni del parlamento, stesura della nuova costituzione ed elezione del nuovo Presidente ci vorrà oltre un anno di tempo) le elezioni presidenziali si terranno nel 2013: nel frattempo, l’esercito continuerà a governare, perché l’attuale sistema prevede che governo e primo ministri non rispondano al parlamento, bensì direttamente al Presidente, del quale l’esercito è vicario…

Dall’altra parte della barricata si trova il fronte islamista, costituito non solo dai famosi Fratelli Musulmani, ma animato altresì da una miriade di partiti “religiosi”: compagini nate dalle defezioni di giovani attivisti proprio dalle fila dei Fratelli, vecchie formazioni rimaste a lungo fuori legge (fra cui la Jama al Islamiyya, da cui uscì il sicario del Presidente Sadat nel 1981), addirittura partiti formati da confraternite sufi (mistiche). Certo nessuno di questi gruppi può vantare la capillare ed antica presenza sul territorio dei Fratelli Musulmani, socialmente attivissimi, tanto da costituire spesso l’unico aiuto per molti egiziani sotto la soglia di povertà. Ecco perché anche un vecchio partito di ispirazione socialista quale al-Wafd aveva cercato, all’inizio dell’estate, di entrare in una coalizione politica coi Fratelli. Ma l’alleanza è terminata prima ancora di giungere alle urne.

La presenza di questa ampia scelta islamista preoccupa i partiti “laici” , alcuni dei quali evitano di definirsi tali in un Paese in cui, per molti, “laicità” è sinonimo di “ateismo”. Fra questi, spicca al-Adl, il Partito della Giustizia, nato in piazza Tahrir nei giorni caldi della rivoluzione, quando giovani e meno giovani professionisti decisero di costituire un partito di tecnici liberi da ogni ideologia e dediti solo a mettere l’Egitto sulla strada delle riforme e di una nuova economia.

Difficile prevedere quale dei 35 partiti e quali fra i candidati indipendenti nelle liste a disposizione degli elettori egiziani emergeranno il prossimo 28 novembre. La sfida, in ultima analisi, è fra l’auspicabile varo di una società pluralistica e democratica o la continuazione di un sistema dispotico, sia esso vestito con l’uniforme militare o con un turbante pseudo-religioso.