Il discorso di Bashar al Assad e la (nuova?) Siria

Leggi il mio intervento ne Il Giornale di Brescia del 20 aprile:

La Siria è stabile, aveva annunciato al mondo il suo presidente, Bashar al Assad, a fine gennaio. Ma l’ondata della rivolta è arrivata pure in Siria, e nonostante la polizia che ha sparato sui manifestanti, la protesta non si placa. Certo Bashar non ha il profilo dei colleghi usciti di scena, non è sclerotico (il 45enne presidente siriano è in carica «solo» dal 2000); né può essere accusato dai connazionali di essere portabandiera di interessi occidentali (leggi, americani), vista la politica anti Usa del partito Baath di cui Bashar è l’espressione.
Ma la reazione repressiva contro la piazza gli ha alienato moltissimi cittadini e ora Bashar deve risalire la china. Certo non basta la decisione di concedere a 150mila siriani curdi, da troppo tempo in attesa di uscire dal limbo della non-cittadinanza, il diritto di essere siriani a tutti gli effetti. I Siriani tutti vogliono riforme, la possibilità di formare partiti, libertà di stampa e interventi per arginare la disoccupazione, obiettivi che l’opposizione insegue da anni e che Bashar ha sempre negato, al massimo attuando una politica «cinese», concedendo qualche miglioramento economico, ma chiudendo rigorosamente l’accesso alla sfera politica ed amministrativa. Silenziando i moderati, Bashar ha però aperto la porta alle correnti islamiste, favorite dalle alleanze che l’apparentemente laico regime di Damasco ha tessuto con Iran, Hezbollah, Hamas (accordi determinati soprattutto dalla volontà di costituire un fronte comune contro America e Israele): squilibrio pericoloso in un paese multietnico e multireligioso come la Siria e che Bashar deve cercare di ricomporre immediatamente. Così sabato è comparso davanti al nuovo governo, chiedendo ai ministri di rispondere alle istanze dei cittadini, in modo da ricomporre la protesta prima possibile. Bashar ha parlato della necessità di chiudere la ferita apertasi tra compagine governativa e popolazione, dando avvio alle riforme più incalzanti, quali la revisione sia della legge sulla formazione dei partiti politici sia di quella che imbavaglia stampa e media. Bashar ha altresì sottolineato l’urgenza di intervenire per arginare disoccupazione e corruzione: e ha pure accennato alla possibilità di riformare la Polizia, «inadeguata» contro i manifestanti. Bashar non ha per ora detto cosa intenda fare coi due elementi di spicco dell’elite, il fratello Mahir e il cognato Asif Shawkat, rispettivamente capo della Guardia repubblicana e dell’Esercito, ritenuti corresponsabili della repressione.
Promesse di chi teme il tracollo o tardiva, ma necessaria, presa di coscienza di un leader? Bashar sa di poter contare sull’appoggio di cristiani, drusi, alawiti e sulla middle-class sunnita, oltre il 50% della popolazione: ma potrebbe non bastare.
Se Bashar al Assad vuole restare in sella e far cessare il bagno di sangue nel Paese deve mettere in pratica quanto esposto al nuovo gabinetto sabato e attuarlo quanto prima.