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Elezioni in Siria, cattiva informazione e cattiva coscienza

I siriani sono arrivati finalmente alle urne, non certo in un clima sereno, visto che il regime continua imperterrito a mietere vittime, mentre gli oppositori hanno dichiarato il boicottaggio di quelle che chiamano «elezioni farsa».
È indubbio che la tornata elettorale sia l’ennesima manovra messa in campo da Bashar al Assad per prendere tempo e allontanare l’attenzione internazionale dalla repressione: le elezioni dovrebbero essere l’essenza della democrazia, ma sappiamo che in realtà non è così e che troppi regimi si mascherano dietro la periodica indizione di elezioni il cui risultato è già deciso in partenza.
Se nel Paese la dirigenza di Assad è ampiamente contestata, a livello internazionale finora ha goduto di una copertura mediatica incerta e partigiana che non vuole riconoscere che la Siria è controllata da una feroce dittatura peggiore, per certi aspetti, di quella di Ben Ali in Tunisia o Mubarak in Egitto. Forse, è proprio il recente risultato elettorale in questi due Paesi che fa tentennare l’opinione internazionale, timorosa che alla caduta del «laico» Assad segua l’insediamento di una compagine islamista che complicherebbe ulteriormente i rapporti tra Occidente e Medio Oriente. Uno degli spauracchi internazionali a difesa di Assad, infatti, è la sua presunta tolleranza per le minoranze: in realtà il presidente non fa che fomentare le divisioni etnico-religioso-comunitarie, politica già perseguita dal padre Hafiz che, dal golpe del ’70, ha prosperato per anni sulla politica del divide et impera. Che gli Assad alawiti abbiano favorito le ricche élite sunnite è risaputo ed è una delle cause di sperequazioni della Siria: la rivolta, infatti, è figlia di 40 anni di lotte che ora assumono anche il sapore della ribellione di poveri agli abbienti, resi tali dalle corrotte politiche degli Assad. Ma neppure la lettura confessionale del conflitto siriano regge: se internamente l’opposizione è trasversale a tutte le comunità, a livello internazionale si rivela pretestuosa. L’appoggio iraniano ad Assad, infatti, non ha connotazioni religiose (gli sciiti duodecimani, variante dello sciismo dell’Iran, sono in Siria meno del 5%), ma solo politiche. Così come l’appoggio saudita agli anti Assad è determinato non dalla volontà di Ryad di proteggere i siriani sunniti, quanto dalla volontà di combattere a distanza contro l’Iran.
La comunità internazionale ha tollerato per troppo tempo gli Assad che da un lato si proponevano come unico Paese mediorientale stabile, mentre destabilizzavano l’Iraq post Saddam, inviando milizie per organizzare atti terroristici; si ergevano a paladini dei Palestinesi, ma li massacravano nei campi profughi; e hanno mietuto migliaia di vittime fra i cittadini, mentre centinaia di migliaia di siriani vivono profughi in Giordania e in Turchia. Dando per scontato il successo del partito Ba’ath Assad si assicurerebbe altri 14 anni di presidenza: resta da calcolare il numero di vittime che ciò potrà provocare.

pubblicato da Giornale di Brescia, 10/5/2012.

Il discorso di Bashar al Assad e la (nuova?) Siria

Leggi il mio intervento ne Il Giornale di Brescia del 20 aprile:

La Siria è stabile, aveva annunciato al mondo il suo presidente, Bashar al Assad, a fine gennaio. Ma l’ondata della rivolta è arrivata pure in Siria, e nonostante la polizia che ha sparato sui manifestanti, la protesta non si placa. Certo Bashar non ha il profilo dei colleghi usciti di scena, non è sclerotico (il 45enne presidente siriano è in carica «solo» dal 2000); né può essere accusato dai connazionali di essere portabandiera di interessi occidentali (leggi, americani), vista la politica anti Usa del partito Baath di cui Bashar è l’espressione.
Ma la reazione repressiva contro la piazza gli ha alienato moltissimi cittadini e ora Bashar deve risalire la china. Certo non basta la decisione di concedere a 150mila siriani curdi, da troppo tempo in attesa di uscire dal limbo della non-cittadinanza, il diritto di essere siriani a tutti gli effetti. I Siriani tutti vogliono riforme, la possibilità di formare partiti, libertà di stampa e interventi per arginare la disoccupazione, obiettivi che l’opposizione insegue da anni e che Bashar ha sempre negato, al massimo attuando una politica «cinese», concedendo qualche miglioramento economico, ma chiudendo rigorosamente l’accesso alla sfera politica ed amministrativa. Silenziando i moderati, Bashar ha però aperto la porta alle correnti islamiste, favorite dalle alleanze che l’apparentemente laico regime di Damasco ha tessuto con Iran, Hezbollah, Hamas (accordi determinati soprattutto dalla volontà di costituire un fronte comune contro America e Israele): squilibrio pericoloso in un paese multietnico e multireligioso come la Siria e che Bashar deve cercare di ricomporre immediatamente. Così sabato è comparso davanti al nuovo governo, chiedendo ai ministri di rispondere alle istanze dei cittadini, in modo da ricomporre la protesta prima possibile. Bashar ha parlato della necessità di chiudere la ferita apertasi tra compagine governativa e popolazione, dando avvio alle riforme più incalzanti, quali la revisione sia della legge sulla formazione dei partiti politici sia di quella che imbavaglia stampa e media. Bashar ha altresì sottolineato l’urgenza di intervenire per arginare disoccupazione e corruzione: e ha pure accennato alla possibilità di riformare la Polizia, «inadeguata» contro i manifestanti. Bashar non ha per ora detto cosa intenda fare coi due elementi di spicco dell’elite, il fratello Mahir e il cognato Asif Shawkat, rispettivamente capo della Guardia repubblicana e dell’Esercito, ritenuti corresponsabili della repressione.
Promesse di chi teme il tracollo o tardiva, ma necessaria, presa di coscienza di un leader? Bashar sa di poter contare sull’appoggio di cristiani, drusi, alawiti e sulla middle-class sunnita, oltre il 50% della popolazione: ma potrebbe non bastare.
Se Bashar al Assad vuole restare in sella e far cessare il bagno di sangue nel Paese deve mettere in pratica quanto esposto al nuovo gabinetto sabato e attuarlo quanto prima.