La persecuzione contro la popolazione shiita in Bahrein non è cosa nuova, ma ora sta raggiungendo proporzioni epiche: le forze saudite, intervenute “per restaurare l’ordine” in Bahrein picchiano, stuprano, ammazzano a piacimento qualsiasi persona sia solo in sospetto di essere shiita, magari semplicemente perché non espone la foto del re al Khalifa. Quest’ultimo, in carica dal 2002, finge si tratti d’una questione di “lotta fra sette”, dove gli shiiti vorrebbero ribaltare il potere sunnita, con l’aiuto dell’Iran: e così, agitando lo spettro dell’estensione dell’influenza degli ayatollah nel Golfo, raduna consensi e aiuti per massacrare i suoi sudditi, che reclamano solo maggiore partecipazione alla vita dello Stato e il riconoscimento di diritti elementari. La famiglia al Khalifa in questi anni ha addirittura favorito l’immigrazione di sunniti, che ora, ovviamente, appoggiano la casata reale, incuranti del fatto che le riforme costituzionali promesse negli anni ’70 non siano mai state varate: tanto, per loro, scatta il meccanismo dei benefici concessi a chi appoggia il regime, mentre gli shiiti, per il solo fatto d’essere tali, vengono esclusi dalla vita pubblica e discriminati nei luoghi di lavoro e nell’arena sociale.
Il mondo, compreso quello arabo, sembra essersi dimenticato di quello che ha provocato in Iraq l’accentuazione del conflitto in termini di “sunnismo contro shiismo” e ignora quest’ultima vessazione da parte dell’Arabia Saudita con la complicità di altri paesi del Golfo e l’appoggio, più o meno tacito, di potenze occidentali. Sabato 16 aprile il Guardian ha pubblicato una scioccante testimonianza di un cittadino shiita del Bahrein che racconta di quanto sta succedendo all’interno del Paese: per quanto vogliamo ancora far finta di ignorare questa drammatica situazione?