Nell’anno in cui si celebra l’anniversario dell’unità d’Italia e la sua sciagurata campagna di colonizzazione dei libici, dovremmo cogliere l’opportunità di ridare dignità tanto agli uni quanto agli altri.

leggi il mio articolo sul Giornale di Brescia del 5 marzo

Fra le rivoluzioni sulle sponde del Mediterraneo, è la libica a colpire maggiormente l’Italia. Sono in ballo, soprattutto, rifornimenti energetici privilegiati, scambi commerciali di primaria importanza e il paventato crollo della frontiera ideale che la Libia costituiva rispetto alla migrazione africana in Italia.
Ma vi è anche un aspetto: nell’anno del centesimo anniversario dell’invasione italiana in Libia (1911), l’Italia rischia di perdere quel Paese una seconda volta, ovvero, di uscire dal ruolo di Paese europeo amico della Libia, funzione che finirà inevitabilmente per essere assunta da qualche altro collega dell’Ue. Il solito vizio italiano ci porta a litigare per decidere quale parte politica abbia maggiormente strizzato l’occhiolino al dittatore di Tripoli, e/o a fantasticare sul pericolo di un’invasione epocale di migranti africani, anziché preoccuparci di contribuire subito alla ricostruzione, anche culturale, della Libia. Basti pensare, ad esempio, al ruolo che potrebbe svolgere la lingua italiana. Ricordiamo che nel regime di Gheddafi, che per anni ha bandito lo studio delle lingue straniere occidentali, inglese incluso, quale ritorsione a seguito delle sanzioni dopo il disastro di Lockerbie nel 1988, l’insegnamento della nostra lingua (pur per lungo tempo non certo amata, vista la presenza coloniale) ha ripreso forza in questi ultimi anni in cui è stata insegnata negli atenei di Tripoli e Bengasi.
Finora quest’operazione ha funzionato in assenza di accordi ufficiali, con strette di mano e tanta buona volontà da parte degli insegnanti di casa nostra, alcuni dei quali in questi giorni drammatici si sono pure trovati in difficoltà. Insomma, un pasticcio all’italiana, che rivela però come al mondo ci sia chi tiene in considerazione la nostra cultura.
E che dire dell’immenso patrimonio archeologico e archivistico nei siti e nelle istituzioni libiche, parte della nostra storia, che andrebbe meglio conosciuto e valorizzato? Ma anche chi crede che la cultura non paghi, comunque, dovrebbe auspicare un approccio alla nuova Libia che consenta all’Italia di continuare a rivestire un ruolo di spessore. Ciò non significa rispolverare miti neo-colonialisti, ma approfittare della scarsa fiducia che i Paesi Ue sembrano avere negli investimenti sulla sponda sud del Mediterraneo per dare slancio alle nostre industrie, favorendo insieme il tasso di occupazione nostro e dei nord africani. Misura che disincentiverebbe l’arrembaggio ai nostri porti di migliaia di disperati.