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Bin Laden, mito e realtà

L’eco dei commenti sull’uccisione di Osama Bin Laden non solo non si è ancora spenta, ma sembra alimentarsi di nuovi particolari che quotidianamente invadono i nostri mass media, rubando spazio ad avvenimenti ben più cruciali, quali, ad esempio, quelli che continuano a sostenere le rivolte in nord Africa e nel Medio Oriente. Le esagerazioni che hanno contornato Bin Laden da vivo continuano pure ora che è morto, alimentandone il mito: se prima era stato trasformato da Bush & Co. quale “uomo nero” per eccellenza, ora si continua ad attribuirgli un potere che eserciterebbe dalla tomba, promuovendone il fantasma per tenere viva l’ostilità tra occidente e mondo islamico, e, di conseguenza, lo stato di allarme (con tutto ciò che ne consegue). Incuranti del fatto che il modello di Bin Laden ha in realtà avuto ben pochi epigoni (ora si è addirittura coniato il termine di “terrorismo in franchising” per le cellule terroristiche che hanno agito ispirandosi ad al-Qaeda), si continua ad agitarne lo spettro (è il caso di dirlo!) attribuendogli un ruolo più o meno diretto anche nelle rivolte ancora in corso nel mondo arabo, che nulla hanno a che vedere con il terrorismo, e neppure con movimenti ispirati dall’ “islam politico”.

L’uccisione di Bin Laden è avvenuta mentre le popolazioni arabe (e non solo) chiedono libertà, democrazia, giustizia, sottolineando piuttosto come queste richieste siano in contrasto con l’opera e il pensiero del leader di al-Qaeda. Ma ammettere una tale lampante verità porterebbe, fra le varie conseguenze, una riflessione sull’inopportunità delle campagne belliche di questi ultimi dieci anni, dall’Afghanistan alla Libia, passando per l’Iraq ed una maggiore attenzione per quanto sta accadendo dal Marocco all’Asia centrale.

Una riflessione su Marrakesh e il tentativo di negare l’esistenza della “società civile” nei paesi arabi

Il terribile attentato a Marrakesh è arivato come una benedizione per leader politici di differenti parti del mondo arabo in rivolta, dal presidente siriano Bashar al Assad a quello yemenita Abdullah Saleh, dai generali egiziani al sovrano bahrenita al Khalifa: ovvero a tutti coloro che pensano di poter continuare a governare i rispettivi paesi sparando sui propri cittadini che manifestano per vedere riconosciuti alcuni diritti fondamentali, solo perché si pongono quale “argine” ai fondamentalismi religiosi e/o terroristici. L’attentato di al-Qaeda, o dei suoi accoliti, viene già sbandierato quale prova dell’inevitabilità del loro governo da alcuni di questi leader. Lo spettro della sempre incombente minaccia di un regime islamista viene sempre agitato quale unica alternativa ai loro regimi presuntamente laici, infatti, da più di un leader nell’area, non ultimo dal colonello Gheddafi, che certo non sta dando prova né di buongoverno né di garanzia quale argine ad alcunché.

Le rivolte arabe impongono un doloroso ma inevitabile spargimento di sangue, e nonostante non si possa certo sminuire il loro impatto in termini di vite umane, va altresì riconosciuto il loro positivo dirompente effetto. Vi è un movimento di ampia portata che si dipana dal Marocco all’Arabia Saudita, e i cui attori invocano unanimemente democrazia, libertà, fine della corruzione, parole che hanno lo stesso significato lì come nel mondo occidentale. E i paladini di queste riforme sono i componenti delle società civili dei singoli paesi, quelle stesse società civili la cui esistenza è stata spesso negata pure nei dibattiti fra gli osservatori occidentali che hanno sempre descritto i paesi arabi come entità incapaci di articolare istituzioni politiche indipendenti, se non in termini “religiosi”.

Queste società civili stanno cercando di costruire un ordine politico democratico avulso tanto dalla egemonia dei partiti islamisti quanto dalla sudditanza occidentale. Certo, l’evoluzione politica è lunga, purtroppo sanguinosa e pure imprevedibile. In questi giorni negli Stati Uniti vi è un intenso dibattito sull’utilità dei “think tank”, i pensatoi i cui ricercatori dovrebbero fornire previsioni in merito a epocali avvenimenti internazionali. Ebbene, i critici sottolineano come gli analisti abbiano fallito nel prevedere alcuni eventi epocali degli ultimi trent’anni: dalla caduta dello shah d’Iran con il conseguente insediarsi della Repubblica Islamica alla guerra in Kuwait, dall’attentato alle Twin Towers alle catastrofiche guerre in Afghanistan e in Iraq. Per non parlare di quanto sta succedendo sulle sponde extra europee del Mediterraneo. Allo stesso modo, fino all’altro giorno si continuava a parlare dell “eccezione del Marocco”, come se il paese maghrebino potesse rimanere immune dall’ondata di cambiamento che squassa gli altri paesi arabi, e senza tener conto che non solo il Marocco condivide tutti i problemi degli altri stati in rivoluzione, ma in più è caratterizzato da un tasso di analfabetizzazione, di disoccupazione e di povertà superiore a molti altri.

Se vogliamo capire quanto sta succedendo assai vicino a noi, quindi, è necessario cambiare subito prospettiva d’indagine.