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Il governo turco e le donne

 

Nei primi cinque mesi di quest’anno in Turchia sono morte cento donne a causa di violenze domestiche, quasi una al giorno, una media impressionante che ha convinto il presidente Gül di incaricare un’apposita commissione di investigare le cause di tanti delitti e i mezzi per prevenirli. Nel frattempo, la ministra per la Famiglia e gli Affari Sociali, Fatma Şahin, ha annunciato che presto verrà introdotto il bracciale elettronico per controllare gli uomini già denunciati per abusi domestici o comunque ritenuti pericolosi per le compagne.

La violenza domestica è una piaga in Turchia, reiteratamente denunciata, tra gli altri, da tutte le organizzazioni femminili e da quelle per la difesa dei diritti umani. Recentemente, due casi hanno destato particolare scalpore: quello di una donna uccisa dal marito, ripetutamente denunciato, ma contro il quale il tribunale aveva rifiutato di emettere una ordinanza restrittiva; e quella di una giovane tenuta prigioniera per quattro giorni dall’ ex fidanzato che l’ha torturata fino ad ucciderla.

Le organizzazioni femminili lamentano come vi sia poco coordinamento tra forze dell’ordine, tribunali e municipalità: queste ultime, infatti, dovrebbero provvedere a fornire case accoglienza per le donne a rischio, ma molto spesso questa è una voce assai trascurata nel bilancio dei comuni. Così vi sono donne che non osano più uscire di casa, di fatto autocondannandosi ad una specie di galera forzata, mentre i loro persecutori girano a piede libero.

Qualche tempo fa, un politico “islamista” aveva tentato di individuare le cause di tanta violenza contro le donne nella eccessiva “promiscuità” nell’abbigliamento e nell’atteggiamento adottata da queste negli ambienti pubblici. Tale grossolana analisi cozza, tra l’altro, con l’indagine recentemente effettuata a cura della maggiore organizzazione per i diritti umani turca, la Mazlum Der, secondo la quale oltre il 60% delle turche indossa il velo. E moltissime donne che subiscono violenza sono, comunque, donne che girano velate. In questo rispetto, anzi, le donne velate sarebbero doppiamente colpite: non solo il velo non le risparmia dagli abusi domestici, esse sono anche discriminate nella sfera pubblica turca. Sempre secondo l’indagine di Mazlum Der, infatti, le donne col velo hanno scarso accesso all’università pubblica, vengono scartate nei colloqui di lavoro, non possono godere delle facilitazioni messe a disposizione al resto della popolazione da parte delle autorità militari (ospedali, scuole ecc.); perfino nelle liste dei partiti religiosi le donne col velo non sono ben posizionate, venendo così penalizzate nella corsa al parlamento.

Velate o no, comunque, le donne in Turchia debbono fronteggiare numerose difficoltà, dai maltrattamenti domestici allo sbarramento nel mondo del lavoro, dove solo il 22% di loro, infatti, è impiegata.

Tutto ciò si pone come un’ennesima sfida per il partito al governo, che conta su un consistente appoggio proprio dalle donne più “tradizionaliste”, ovvero velate. Queste ora sono sul sentiero di guerra, reclamando le promesse elettorali di sicurezza e completa cittadinanza. Ma pure le “laiche”, da sempre impegnate contro la stretta patriarcale, chiedono a Erdoĝan e ai suoi, di mantenere l’impegno di essere il premier di tutti/e. E tutte attendono risultati positivi nella lotta contro la violenza domestica, che potrebbe rivelarsi quale primo grande test di politica interna per questo nuovo mandato di Erdoĝan.

 

 

 

 

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Nei primi cinque mesi di quest’anno in Turchia sono morte cento donne a causa di violenze domestiche, quasi una al giorno, una media impressionante che ha convinto il presidente Gül di incaricare un’apposita commissione di investigare le cause di tanti delitti e i mezzi per prevenirli. Nel frattempo, la ministra per la Famiglia e gli Affari Sociali, Fatma Şahin, ha annunciato che presto verrà introdotto il bracciale elettronico per controllare gli uomini già denunciati per abusi domestici o comunque ritenuti pericolosi per le compagne.

La violenza domestica è una piaga in Turchia, reiteratamente denunciata, tra gli altri, da tutte le organizzazioni femminili e da quelle per la difesa dei diritti umani. Recentemente, due casi hanno destato particolare scalpore: quello di una donna uccisa dal marito, ripetutamente denunciato, ma contro il quale il tribunale aveva rifiutato di emettere una ordinanza restrittiva; e quella di una giovane tenuta prigioniera per quattro giorni dall’ ex fidanzato che l’ha torturata fino ad ucciderla.

Le organizzazioni femminili lamentano come vi sia poco coordinamento tra forze dell’ordine, tribunali e municipalità: queste ultime, infatti, dovrebbero provvedere a fornire case accoglienza per le donne a rischio, ma molto spesso questa è una voce assai trascurata nel bilancio dei comuni. Così vi sono donne che non osano più uscire di casa, di fatto autocondannandosi ad una specie di galera forzata, mentre i loro persecutori girano a piede libero.

Qualche tempo fa, un politico “islamista” aveva tentato di individuare le cause di tanta violenza contro le donne nella eccessiva “promiscuità” nell’abbigliamento e nell’atteggiamento adottata da queste negli ambienti pubblici. Tale grossolana analisi cozza, tra l’altro, con l’indagine recentemente effettuata a cura della maggiore organizzazione per i diritti umani turca, la Mazlum Der, secondo la quale oltre il 60% delle turche indossa il velo. E moltissime donne che subiscono violenza sono, comunque, donne che girano velate. In questo rispetto, anzi, le donne velate sarebbero doppiamente colpite: non solo il velo non le risparmia dagli abusi domestici, esse sono anche discriminate nella sfera pubblica turca. Sempre secondo l’indagine di Mazlum Der, infatti, le donne col velo hanno scarso accesso all’università pubblica, vengono scartate nei colloqui di lavoro, non possono godere delle facilitazioni messe a disposizione al resto della popolazione da parte delle autorità militari (ospedali, scuole ecc.); perfino nelle liste dei partiti religiosi le donne col velo non sono ben posizionate, venendo così penalizzate nella corsa al parlamento.

Velate o no, comunque, le donne in Turchia debbono fronteggiare numerose difficoltà, dai maltrattamenti domestici allo sbarramento nel mondo del lavoro, dove solo il 22% di loro, infatti, è impiegata.

Tutto ciò si pone come un’ennesima sfida per il partito al governo, che conta su un consistente appoggio proprio dalle donne più “tradizionaliste”, ovvero velate. Queste ora sono sul sentiero di guerra, reclamando le promesse elettorali di sicurezza e completa cittadinanza. Ma pure le “laiche”, da sempre impegnate contro la stretta patriarcale, chiedono a Erdoĝan e ai suoi, di mantenere l’impegno di essere il premier di tutti/e. E tutte attendono risultati positivi nella lotta contro la violenza domestica, che potrebbe rivelarsi quale primo grande test di politica interna per questo nuovo mandato di Erdoĝan.

Articolo pubblicato il 26/7/2011 dal Giornale di Brescia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Adunis: un Orientalista in odor di Nobel

Il controverso poeta libano-siriano Adunis (1930) è da molto in odor di premio Nobel, e, considerata la sua età e il rinnovato interesse internazionale per il mondo arabo, è facile che ci arrivi. Non so però se si tratti di una vittoria per la cultura araba contemporanea, vista la deriva “orientalista” che il poeta ha ormai assunto nelle ultime decadi…per saperne di più, ecco un interessate articolo sul sito di al-Jazira:

http://english.aljazeera.net/indepth/opinion/2011/07/201179124452158992.html

Donne in Italia:

L’Italia esce a pezzi dal rapporto Ocse sulla famiglia, sia per tasso di occupazione femminile (al 59,1% contro la media Ocse del 70,9%: la più bassa dopo Turchia, Messico e Cile), che per natalità (1,4 figli per donna rispetto alla media di 1,74) e per la percentuale di povertà infantile (al 15,3% contro la media del 12,7%). È la Francia a rivelarsi, invece, il modello di riferimento: occupazione femminile al 76,6%, 1,99 figli per donna e povertà infantile all’8%.
L’Italia è uno dei Paesi Ocse in cui si spende meno per le politiche familiari: solo l’1,4% del Pil, mentre la media si attesta al 2,2% (per la Francia 3,8%).

Sono, a dir poco, dati inquietanti per noi donne d’Italia

Bufale di pace

L’amico blogger Miguel Martinez (http://kelebeklerblog.com) ha riportato sul suo sito una notizia incredibile: a fine maggio in quel di Mazara del Vallo si è svolta una grottesca manifestazione intitolata “Quali nuovi strumenti per la Pace oggi” , con protagonisti una serie di nostri parlamentari che hanno fatto da cornice alla star dell’evento, ovvero quel personaggio di dubbia reputazione che è Prem Rawat. Il sedicente guru da decadi abbindola gonzi di ogni Paese proclamandosi dio in terra ed altre baggianate, predicando povertà ed astinenze d’ogni genere ai proprio accoliti mentre lui conduce una vita da sibarita (provare a vedere la foto della sua villona californiana: http://www.prem-rawat-bio.org/mansion.html). Ora, si dirà che  di questi personaggi è pieno il mondo, ma è veramente incredibile che si siano mossi ad organizzare un mega evento in Sicilia, con tanto di patrocinio dalla Presidenza della Repubblica e la partecipazione di parlamentari ed accademici nostrani, ad un furbacchione che dice una serie di banalità arricchendosi alle spalle altrui.

Certo Prem Rawat si sa vender bene, ma chi lo compera (o si fa comperare) da noi?

Delitti commessi da musulmani in Italia: ci ricadiamo sempre….

La notizia del marocchino che ha ucciso la moglie a Padova è terribile. Ma anche quella dell’italiana del Bergamasco che ha assoldato due killer per ammazzare il marito; o quella del ragazzo di Roma che ha massacrato la nonna dell’ex fidanzata, ecc…. eppure i commenti sul web (e non solo) parlano di conflitto di civiltà”, di “superiorità della nostra cultura rispetto a quella musulmana”, di “incompatibilità tra noi e loro”. C’è chi invita le ragazze musulmane a leggere il libro di qualche musulmana che ha avuto il coraggio di denunciare le violenze della religione islamica , tipo Hirsi Ali o di qualche altra furbacchiona che si è costruita la carriera giocando sull’odio per l’Altro… ma riusciremo mai, noi “italiani doc” ad accettare l’Altro? Intendo, non gli inglesi che comperano le tenute in Toscana, ma i disperati che scappano da guerre e terrore; non aspiranti attricette sudamericane che posano seminude sui rotocalchi, ma le ragazze velate che vogliono andare a scuola con le coetanee; non i mafiosi d’ogni nazionalità che vengono qui a concordare atti illeciti con i mafiosi nostrani, ma tutti coloro che arrivano in Italia anche accettando umili lavori e che magari sognano che i loro figli possano, un giorno, essere “veri” italiani.
Per nessuno degli efferati delitti compiuti in questi ultimi anni da cittadini italiani qualcuno s’azzarda a invocare motivi d’ordine culturale o religioso, né di classificarli quali “atti di inciviltà italiana”.
I delitti sono tutti esecrabili, cari Italiani. E cari Altri.

Il Fondo Monetario Internazionale e l’Iran

Ho letto e riletto più volte il rapporto del Fondo Monetario internazionale (FMI) recentemente stilato sulla situazione della Repubblica Islamica d’Iran, direttamente dal sito FMI: http://www.imf.org/external/np/sec/pr/2011/pr11228.htm.

Gli ispettori del FMI, in visita sull’altipiano da fine maggio ai primi di giugno, hanno riscontrato una situazione idilliaca, giungendo a lodare le autorità iraniane per i successi conseguiti grazie alla cancellazione dei sussidi statali, che hanno fruttato alle casse dell’erario parecchi milioni di dollari e hanno pure fatto ridurre gli sprechi energetici prima all’ordine del giorno nelle famiglie iraniane. Il FMI si è pure sperticato in complimenti per l’establishment locale che ha contribuito a calmierare l’inflazione. Alla fine la missione “ringrazia le autorità iraniane per la loro ospitalità, nonché per la discussione aperta e costruttiva intercorsa”.

Che bellezza. Però il rapporto rema contro tutto quanto detto e scritto da paludati organismi internazionali negli ultimi mesi. Qualcuno sa spiegarmi dov’è l’inghippo?

La squadra di calcio femminile iraniana: hejab e ipocrisia

Con un po’ di ritardo intervengo sulla questione del bando della squadra femminile iraniana dal partecipare alle finali della coppa del mondo: le iraniane, già qualificate, sono state escluse perché giocano col capo e il collo coperti, chiaro “segno religioso” bandito dalla FIFA. Al giubilo col quale molti, comprese sedicenti femministe di varie nazionalità, sparsi nel globo, stanno salutando quella che leggono come una “punizione” per la Repubblica Islamica d’Iran (?), vorrei contrapporre alcuni fatti:

1) nessuno mette in discussione che le donne iraniane siano oggetto di pesanti discriminazioni nel loro paese. Ma privare loro della possibilità di esibirsi a livello mondiale in una specialità sportiva è una punizione contro loro stesse, non contro il loro governo. E così, ancora una volta le iraniane vengono doppiamente discriminate e punite;

2) le iraniane sono state squalificate perché indossano un simbolo religioso. Però non ho mai sentito che un giocatore di calcio sia stato escluso perché si fa il segno della croce entrando in campo o uscendone, gesto che si consuma in continuazione nei campi internazionali. per non parlar di quei giocatori che portano la croce al collo, o addirittura tatuata sul corpo. Ma, evidentemente, per i maschi le regole della FIFA non valgono;

3) le iraniane dovrebbero essere contente di essere state escluse dalla competizione, visto che la FIFA punisce il velo reso obbligatorio dal governo iraniano. Ma allora perché le foto che stanno girando su moltissimi siti dopo l’esclusione le ritraggono piangenti  sulla loro bandiera nazionale?

4) se proprio vogliamo aiutare le donne d’Iran, dovremmo riconoscere l’ incredibile tenacia con la quale lottano per poter praticare ogni tipo di sport, calcio compreso, con ottimi risultati internazionali (a proposito, che ne è della squadra femminile italiana?) e aiutarle a rimanere sulla ribalta internazionale anziché confinarle nel loro paese;

5) se bandire le iraniane significa spezzare una lancia per la democrazia, qualcuno mi dovrebbe spiegare perché si è già deciso che i mondiali di calcio (maschili) del 2022 verranno disputati in quel paradiso della democrazia che è il Qatar… ricordo, per chi l’avesse dimenticato, che il Qatar (fra l’altro) ha mandato e proprie truppe in Bahrein per “sedare la rivolta”, ovvero, per massacrare i cittadini che chiedono democrazia e libertà basilari. E che Qatar, Kuwait e Arabia Saudita, le cui cittadine sono esposte a quotidiane vessazioni (le saudite non possono neppure guidare, figuriamoci giocare a calcio!) hanno loro rappresentanti nella FIFA, che si sono ben guardati ad intervenire a favore delle “sorelle” iraniane velate. Ovviamente, nessuno pensa ad escludere questi paesi dalla FIFA. La pecunia del Golfo non olet, mai.