ascolta la puntata a Radio 3 Fahrenheit con Paola Caridi e me:
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_evento.cfm?Q_EV_ID=325243#
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Ho letto e riletto più volte il rapporto del Fondo Monetario internazionale (FMI) recentemente stilato sulla situazione della Repubblica Islamica d’Iran, direttamente dal sito FMI: http://www.imf.org/external/np/sec/pr/2011/pr11228.htm.
Gli ispettori del FMI, in visita sull’altipiano da fine maggio ai primi di giugno, hanno riscontrato una situazione idilliaca, giungendo a lodare le autorità iraniane per i successi conseguiti grazie alla cancellazione dei sussidi statali, che hanno fruttato alle casse dell’erario parecchi milioni di dollari e hanno pure fatto ridurre gli sprechi energetici prima all’ordine del giorno nelle famiglie iraniane. Il FMI si è pure sperticato in complimenti per l’establishment locale che ha contribuito a calmierare l’inflazione. Alla fine la missione “ringrazia le autorità iraniane per la loro ospitalità, nonché per la discussione aperta e costruttiva intercorsa”.
Che bellezza. Però il rapporto rema contro tutto quanto detto e scritto da paludati organismi internazionali negli ultimi mesi. Qualcuno sa spiegarmi dov’è l’inghippo?
For Tehran coffe-shop lovers:
Con un po’ di ritardo intervengo sulla questione del bando della squadra femminile iraniana dal partecipare alle finali della coppa del mondo: le iraniane, già qualificate, sono state escluse perché giocano col capo e il collo coperti, chiaro “segno religioso” bandito dalla FIFA. Al giubilo col quale molti, comprese sedicenti femministe di varie nazionalità, sparsi nel globo, stanno salutando quella che leggono come una “punizione” per la Repubblica Islamica d’Iran (?), vorrei contrapporre alcuni fatti:
1) nessuno mette in discussione che le donne iraniane siano oggetto di pesanti discriminazioni nel loro paese. Ma privare loro della possibilità di esibirsi a livello mondiale in una specialità sportiva è una punizione contro loro stesse, non contro il loro governo. E così, ancora una volta le iraniane vengono doppiamente discriminate e punite;
2) le iraniane sono state squalificate perché indossano un simbolo religioso. Però non ho mai sentito che un giocatore di calcio sia stato escluso perché si fa il segno della croce entrando in campo o uscendone, gesto che si consuma in continuazione nei campi internazionali. per non parlar di quei giocatori che portano la croce al collo, o addirittura tatuata sul corpo. Ma, evidentemente, per i maschi le regole della FIFA non valgono;
3) le iraniane dovrebbero essere contente di essere state escluse dalla competizione, visto che la FIFA punisce il velo reso obbligatorio dal governo iraniano. Ma allora perché le foto che stanno girando su moltissimi siti dopo l’esclusione le ritraggono piangenti sulla loro bandiera nazionale?
4) se proprio vogliamo aiutare le donne d’Iran, dovremmo riconoscere l’ incredibile tenacia con la quale lottano per poter praticare ogni tipo di sport, calcio compreso, con ottimi risultati internazionali (a proposito, che ne è della squadra femminile italiana?) e aiutarle a rimanere sulla ribalta internazionale anziché confinarle nel loro paese;
5) se bandire le iraniane significa spezzare una lancia per la democrazia, qualcuno mi dovrebbe spiegare perché si è già deciso che i mondiali di calcio (maschili) del 2022 verranno disputati in quel paradiso della democrazia che è il Qatar… ricordo, per chi l’avesse dimenticato, che il Qatar (fra l’altro) ha mandato e proprie truppe in Bahrein per “sedare la rivolta”, ovvero, per massacrare i cittadini che chiedono democrazia e libertà basilari. E che Qatar, Kuwait e Arabia Saudita, le cui cittadine sono esposte a quotidiane vessazioni (le saudite non possono neppure guidare, figuriamoci giocare a calcio!) hanno loro rappresentanti nella FIFA, che si sono ben guardati ad intervenire a favore delle “sorelle” iraniane velate. Ovviamente, nessuno pensa ad escludere questi paesi dalla FIFA. La pecunia del Golfo non olet, mai.
La Turchia torna a votare e tutto sembra indicare una nuova schiacciante vittoria del partito al governo, l’AKP di Recep Erdoĝan: alcune proiezioni davano il partito attorno al 50%, ma la recente apparizione in internet di un video immortalante gli incontri di alcuni membri dell’ultranazionalista partito Milliyetçi Hareket Partisi (MHP) con giovanissime prostitute potrebbero rubare i voti al MHP facendo salire ulteriormente le quotazioni dell’AKP.
Il partito al governo si avvale molto del carisma personale di Erdoĝan, che riscuote anche l’approvazione di quei turchi che, pur non votandolo, apprezzano il lavoro da lui svolto durante questi otto anni. Il premierato di Erdoĝan ha riportato diversi successi, interni ed esterni: un notevole abbattimento dell’inflazione, un più diffuso benessere tra tutta la popolazione, ampi spiragli di composizione delle diatribe etnico- religiose, e, soprattutto, un’affermazione perentoria del prestigio della Turchia sul piano internazionale. Certamente la disoccupazione giovanile continua ad essere motivo di grave malcontento, per non parlare dei non completamente sedati dissidi con la minoritaria componente curda. Ma è soprattutto sul piano internazionale che Recep Erdoĝan ha vinto una cruciale partita, riportando il suo Paese ai fasti della diplomazia ottomana: molti dei paesi arabi guardano ad Ankara come modello da imitare per il suo sapiente equilibrio tra modernità e tradizione, ovvero per la salvaguardia dei costumi islamici e la spinta verso democrazia e modernizzazione. Un’inchiesta condotta nello scorso aprile dal Pew Research Center’s Global Attitudes Project (PRCGP) mostra, ad esempio, come la stragrande maggioranza degli egiziani nutra piena fiducia nell’opera dell’AKP, sentimento condiviso anche dai giordani (ricordiamo che la Turchia si è eretta quale difensore dei diritti dei palestinesi, molti dei quali risiedono proprio in Giordania) e dai pakistani (ampiamente aiutati da Ankara durante le terribili inondazioni del 2010). In questi anni Erdoĝan ha tessuto accordi politico-commerciali con i più importanti paesi asiatici, perfino con il nemico di sempre, l’Iran, e al contempo ha continuato a tendere la mano verso l’Europa. Ma qui, sempre secondo l’inchiesta del PRCGP, si annidano diversi “turcoscettici” che non si lasciano ammaliare dai completi giacca-cravatta del primo ministro turco e non vogliono ammettere Ankara all’affollato tavolo di Bruxelles. Erdoĝan, peraltro, continua imperterrito a porsi come interlocutore nelle situazioni che l’Europa non riesce a sbrogliare, quali il nucleare iraniano (la Turchia è stata sede di incontri tra Iran e la commissione internazionale per l’energia atomica) fino a giungere alla recentissima offerta di garantire al colonnello Gheddafi una uscita protetta dal suo paese con conseguente fine delle guerra che lo sta insanguinando. Un brillante colpo di coda rivelante l’inesauribile energia nel tessere trame internazionali del primo ministro turco e destinato a spiazzare pure quei suoi oppositori che in questi ultimi giorni di campagna elettorale si sono dati da fare per sottolineare il suo aspetto affaticato ed invecchiato. Certo Erdoĝan ha sottolineato più volte come questa sia l’ultima tornata elettorale che intende affrontare, ma i più cinici affermano che, dopo quest’ultimo premierato, egli punterebbe a divenire presidente della repubblica turca. Un compito non certo impossibile per un uomo che riscuote un successo personale paragonabile solo al suo antesignano rivale, il mitico Kemal Atatürk, e che, se riuscisse a porre fine al pantano libico, accrescerebbe le credenziali per un’entrata in Europa del suo Paese.
Gli scandali politico-sessuali sono di moda anche in Turchia, dove, recentemente, alcuni alcuni politici appartenenti all’ultranazionalista partito Milliyetçi Hareket Partisi (MHP) sono stati colti da una telecamera nascosta mentre si intrattenevano con prostitute minorenni. Lo scandalo rischia di travolgere il MHP a pochi giorni dalle elezioni (12 giugno): nella scorsa tornata, il MHP aveva raggiunto il 14.3% delle preferenze, ma l’ondata di sdegno fra i suoi sostenitori mette in pericolo la sua permanenza in parlamento, dove si entra solo raggiungendo il 10% dei voti. Se il MHP non dovesse farcela, i suoi voti andrebbero distribuiti fra gli altri partiti, e quindi, per ironia della sorte, andrebbero a beneficiare il partito nemico per eccellenza, ovvero quello del premier Erdogan (AKP).
Lo scandalo sessuale, comunque, s’aggiunge all’inchiesta in corso su autorevoli membri del MHP accusati di aver complottato a favore di un ennesimo colpo di stato (il caso Ergenekon). Fra pochi giorni sapremo se e quanto per i Turchi la condotta morale del loro politicanti abbia peso.
Pubblicato nel Giornale di Brescia del 1 giugno 2011
Gli attacchi ai nostri soldati stanziati in Afghanistan giungono puntuali a ricordarci quanto il travagliato Paese centrasiatico sia lontano dalla normalizzazione, nonostante dieci anni di ingenti sforzi, militari, economici e politici profusi tanto dalle forze internazionali quanto dalla società civile afgana.
Sia il parziale fallimento delle elezioni politiche del settembre 2010 (che, si ricorderà, sono state inficiate da pesanti brogli e da una situazione di spiccata insicurezza per candidati e votanti), sia i periodici bollettini di attentati alle forze ISAF o alla popolazione civile confermano una situazione incertissima e pericolosa, ben lontana da quanto auspicato nell’ottimistico rapporto curato dalla Casa Bianca nel dicembre scorso, con il quale, pur lamentando le continue ingenti perdite umane (nel 2010 gli attacchi alle forze internazionali sono aumentate del 70% rispetto all’anno precedente!) individuava nel luglio 2011 l’inizio della fase di transizione che dovrebbe condurre ad un lento ma inesorabile ritiro delle truppe dall’Afghanistan.
Anche il piano di riconciliazione nazionale lanciato dal governo Karzai procede lentissimo, se non altro perché la sua proposta (peraltro appoggiata da una parte del governo americano) di sedersi al tavolo delle trattative con alcuni dei Taleban “buoni” ha scatenato una accesissima polemica sopratutto fra la popolazione civile afgana, terrorizzata all’idea di un ritorno legalizzato dei sedicenti studiosi di Corano. Eppure, vi è una parte degli afgani che, pur desiderando pace e stabilità, vuoi a causa della mancata pacificazione della loro patria vuoi per la sempre lampante corruzione che inficia l’amministrazione afgana, insediata anche con il beneplacito internazionale, per non parlare dell’alto numero di vittime civili provocate “per errore” dalle forze internazionali, si è progressivamente distaccata da queste ultime, e ammicca ai vecchi gestori col turbante. Tant’è che questi ultimi sono stati in grado di formare governi ombra in moltissime province afgane, dalle quali controllano il Paese e sono in grado di organizzare e lanciare attacchi contro le forze ISAF. Molta della baldanza dei Taleban deriva dai proventi, sempre consistenti, dell’oppio: il 96% della produzione della preziosa sostanza proviene dalle province meridionali e occidentali, dove la presenza talebana è più forte (ma anche nel nord la loro avanzata pare, secondo recenti rilevazioni, purtroppo inesorabile). E l’oppio continua a costituire il 20-25% del PIL afgano: quest’ultimo, peraltro, è aumentato del 15% negli ultimi anni, ma la sua dipendenza dalla coltivazione del papavero e dagli aiuti internazionali fa sì che, di fatto, la situazione economica dell’Afghanistan non si possa certo definire rosea.
Un grosso incentivo allo sviluppo del Paese potrebbe essere costituito dalla costruzione di un oleodotto capace di trasportare il gas turkmeno fino in India e in Pakistan. L’accordo recentemente siglato, prevede la costruzione di un impianto snodantesi per circa 1700 km lungo il territorio afgano: va da sé che, senza condizioni di sicurezza, il faraonico progetto è destinato ad arenarsi presto.
Le forze internazionali si trovano quindi davanti ad una decisione quanto mai difficile: rimanere è d’obbligo, visto che il lavoro da fare è immane. Ma il prezzo da pagare sembra ancora altissimo, sia da parte della coalizione internazionale, sia da parte degli afghani innocenti.
Mentre si preannuncia un’ammorbante ondata di fiction “erotica” firmata da donne saudite (che evidentemente hanno imparato quanto questi argomenti prendano in Occidente…) una coraggiosa cittadina della monarchia del Golfo è in carcere per aver osato, lo scorso 21 maggio, di tornare a casa dalla sua sede di lavoro guidando lei stesa un’auto. La trentaduenne Manal al Sharif è una informatica che lavora presso la Aramco nella cittadina di Khober: può avere un incarico di responsabilità, ma non può guidare, impedimento che condivide con tutte le donne saudite. Dopo questa sua sfida infatti, è stata arrestata, e rilasciata quasi subito, ma poiché ha poi osato mettere su you tube il video che la immortala mentre conduce un’autovettura, è stata ri arrestata dalla polizia e si trova tutt’ora in carcere. Le attiviste saudite hanno annunciato una manifestazione per il 17 giugno prossimo, proclamato “giornata nazionale contro il divieto di guida alle donne”. L’Arabia Saudita è l’unico stato al mondo che proibisce alle donne di guidare, per tacere di tutti gli altri diritti elementari che lo stato del Golfo nega ai propri cittadini, soprattutto alle donne. Ma, si sa, la comunità internazionale è assolutamente silente sull’Arabia Saudita!
Buone notizie dal Marocco. La ministra per gli Affari Femminili Nausha Skalli ha annunciato che il suo governo sta per firmare il protocollo CEDAW, contente una serie di garanzie cruciali per i diritti delle donne. E ciò senza dubbio è frutto anche della presenza femminile nella nuova commissione consultiva per la riforma costituzionale nel Paese, della quale fanno parte pure 5 donne.
il movimento femminile marocchino chiama all’appello perché si firmi una lettera di supporto a tale operazione, da indirixzare al Presidente della Commissione, A. Menouni (crconstitution@gmail.com)
ecco il testo in inglese e francese:
To the attention of Mr. Abdellatif Menouni President of President of the Consultative Commission for the Review of the Moroccan Constitution
and Mr. Mohammed Motassim, In charge of the follow-up of Constitutional Reforms
Request for the consideration of women’s human rights in the forthcoming Moroccan constitution.
Mr. President of the Consultative Commission for the Review of the Moroccan Constitution,
Given the considerable progress and achievements made by Morocco in the field of human rights during over the past decade, we believe that the current constitutional reform is yet an opportunity that will allow the Kingdom of Morocco to consolidate its strategic and progressive choices for the consecration of the rule of law and democracy and the respect of human rights, individual and collective freedoms for women and men.
The present reform project cannot be realized without taking fully into account the basic human rights of women, as an essential catalyst for democratization, social justice, progress and for the establishment of the universal values of human rights.
In the light of what was stated above, we respectfully request the integration of the principle of equality between women and men in the new Moroccan constitution and the implementation of concrete and positive measures and mechanisms aiming at reducing all forms of discrimination and exclusion against women. This will lead to the consolidation of the achievements and to the continuation of the reform process through harmonizing the Constitution with the international commitments of Morocco.
With appreciation for your commitment to human and women’s rights and your concern for gender equality and democracy,
Sincerely,
<<Your Name>>
—————————————————-
Objet: Demande de prise en compte des droits humains des femmes dans la prochaine constitution.
Monsieur le Président,
Eu égard aux progrès réalisés et aux acquis du Maroc en matière des droits humains durant la dernière décennie, nous sommes convaincus que l’actuel chantier de la réforme constitutionnelle est une autre opportunité qui permettra au Royaume de concrétiser ses choix stratégiques et progressistes pour la consécration de l’Etat de droit et de démocratie qui respecte les droits et libertés individuelles et collectives aussi bien des femmes que des hommes.
Ce chantier ne pourra se concrétiser sans la prise en compte des Droits humains fondamentaux des femmes, levier central la démocratisation, à la justice sociale, au progrès et à l’instauration des valeurs universelles des droits humains.
Au regard de ce qui précède, nous vous sollicitons par la présente, pour la constitutionnalisation de l’égalité effective entre les sexes et des mesures et mécanismes positifs, susceptibles de limiter les discriminations et l’exclusion à l’encontre des femmes. Ceci permettra d’une part, de consolider les acquis et, d’autre part, de poursuivre le processus de réformes en harmonisant la constitution avec les engagements internationaux du Maroc.
En comptant sur votre engagement en faveur des droits de l’Homme et des droits humains des femmes, nous vous prions, Monsieur le Président, de croire en notre haute considération.