Come prevedibile, l’accordo, per quanto provvisorio, sul programma nucleare iraniano siglato tra la Repubblica Islamica d’Iran e le potenze occidentali, è in pericolo. Con esso è in periglio il progetto di pacificazione in Medio Oriente, che appoggia sul riposizionamento dell’Iran come fulcro e motore d’ogni tensione nell’area. In questi anni, infatti, l’Iran è stato investito di responsabilità più o meno reali, relative a ogni crisi scoppiata attorno ai suoi confini: dagli attentati in Iraq (della cui perenne destabilizzazione s’incolpa Tehran e i suoi aiuti alla leadership sciita); alla guerra civile siriana (in cui l’Iran è accusato d’appoggiare incondizionatamente Bashar al Asad); alle continue crisi libanesi (uno dei cui protagonisti, il partito Hezbollah, è una “costola” della Repubblica Islamica); per finire in Afghanistan, dove è impantanata la forza internazionale, impossibilitata però a stringere una necessaria alleanza con Tehran che sarebbe certamente foriera di positivi cambiamenti.
E’ soprattutto negli Stati Uniti che trova favore il partito “anti-Iran”, per il quale il Paese dell’altopiano è un nemico ormai storico e che imputa a Tehran ogni avvenimento negativo; i sostenitori di questa teoria sostengono che la Repubblica Islamica rappresenta una minaccia per Israele, che la tregua dell’accordo consente all’Iran di congelare il proprio programma ma di non eliminarlo, e, soprattutto, che l’accordo ha riportato l’Iran al centro della diplomazia internazionale, sdoganandolo da “stato canaglia” e rifacendogli nutrire ambizioni di protagonista in Medio Oriente.
In effetti, la costruzione dell’Iran quale “nemico” internazionale ha avuto una leggera scossa lo scorso 24 novembre, e anche se l’intervento sulle sanzioni è così minimale da non poter avere profondi benefici effetti sull’economia iraniana, il suo valore simbolico è altissimo, tanto per la politica internazionale quanto per quella domestica iraniana. Ad esempio, il successo dell’accordo di Ginevra ha consentito al Presidente Rouhani, suo principale sponsor, di intervenire pesantemente sull’amministrazione locale, sostituendo quasi tutti i governatori delle province, appartenenti all’ultraconservatore Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, per sostituirli con civili di comprovate abilità. Conoscendo inoltre il poco gradimento riscosso nei paesi arabi circostanti, il governo di Tehran ha rimesso in piedi i negoziati per restituire quanto prima agli Emirati le tre isole situate nel golfo di Hormuz, importante check point petrolifero, oggetto di contesa fin dai tempi del deposto shah. Il fronte arabo anti-Iran, prima compatto, ha ricevuto una scossa pure grazie al rifiuto del sultano dell’Oman di far parte di un’eventuale coalizione araba in funzione anti Repubblica Islamica: “siamo in una fase storica in cui il mondo ha bisogno di pace e stabilità” ha dichiarato qualche giorno fa Yousif al Ibrahim, ministro degli esteri omanita.
Certo l’accordo sul nucleare comporta alcuni rischi, ma gli scettici dovrebbero porsi il quesito se i rischi della negoziazione siano maggiori del continuare a tenere un paese come l’Iran sotto scacco minacciando di bombardarlo. I negoziati meritano una chance e così la pace nel mondo.
da Giornale di Brescia 15/12/2013