Gli Emirati danno soldi=gli Emirati sono perfetti (anche se musulmani…)

La faccia sorridente di Zlatan Ibrahimovic campeggia sulle pagine sportive dei giornali internazionali dopo che il fuoriclasse ha raggiunto la nuova squadra, il Paris Saint German per una cifra iperbolica, facendo aumentare a oltre 112 milioni di euro il budget sborsato dal PSG per acquistare i giocatori destinati alla nuova stagione. A consentire questi acquisti favolosi è il nuovo proprietario della squadra, l’emiro Sheikh Tamim Bin Hamad al Thani, membro della famiglia che regna nel Qatar, il quale non ha problemi di liquidità e, come già altri familiari e/o emiri di altri Paesi del Golfo prima di lui, mira a conquistare l’Europa, per ora solo calcisticamente. Questi ingenti investimenti di denaro provenienti dagli emirati sembrano far felici molti, e nessuno, in questo caso, sembra preoccuparsi di possibili ingerenze degli emiri nei destini europei né tanto meno gridano allo scandalo per questa “invasione islamica”. Sono lontani i tempi in cui atleti e  tifosi sollevavano obiezioni sulla partecipazione ai mondiali ospitati da paesi altamente illiberali, quali i mondiali di calcio in Argentina, negli anni ’70, o, più recentemente, alle olimpiadi cinesi di qualche anno fa.

Pecunia non olet, si sa, ma lo sport è paradigmatico di una certa miopia che pare affliggere molti, che accolgono trionfanti i soldi degli emiri con la scusa che migliorano la qualità del calcio europeo, ma non si preoccupano del fatto che questi personaggi sperperano all’estero denaro che andrebbe investito all’interno dei propri paesi migliorando la qualità di vita dei cittadini. Certo, il Qatar ospiterà addirittura i mondiali di calcio tra qualche anno, costruendo stadi con l’aria condizionata che consentiranno di giocare in un Paese, che d’estate, raggiunge i 50 gradi con il 100% di umidità:  ma qualcuno pensa alle condizioni delle migliaia di addetti che stanno già lavorando a queste strutture in condizioni spesso disumane? Certo, non si usano i qatarini per queste mansioni, per non creare scontento interno e contestazioni al regime, bensì milioni di pakistani, indiani, filippini e indonesiani che non hanno alcun diritto.  E per quanto riguarda i qatarini, forse gli emiri favoriscono le attività sportive dei loro cittadini? A giudicare dalla scarne rappresentanze da loro inviate ai giochi olimpici di Londra non si direbbe, senza contare che il Comitato Olimpico internazionale ha dovuto sostenere un vero e proprio braccio di ferro con molti di loro affinché includessero almeno una donna nel gruppo di atleti destinati a partecipare alle olimpiadi 2012.

A proposito di donne, quest’estate sta vedendo un aumento esponenziale di turisti nel nostro Paese in arrivo proprio da molti Paesi del Golfo. La loro presenza è marcata dalle loro compagne, moltissime delle quali arrivano con il velo integrale, o niqab che ricopre la faccia. Solitamente basta una di queste visioni nelle nostre strade per mandare in fibrillazione i difensori della laicità, della cultura locale, dei diritti delle donne ecc ecc.; ma in questo caso nessuno strepita, vuoi, perché anche col niqab le donne del Golfo amano le grandi firme, e con i loro pingui acquisti nelle boutique nostrane contribuiscono positivamente alla crisi che ci attanaglia, vuoi perché si pensa trattarsi di una presenza transitoria. Da questi Paesi accettiamo solo il denaro, chiudendo gli occhi su scomode “usanze”, incuranti del fatto che lì la democrazia non possa nemmeno essere nominata,  accanendoci verso altre realtà geo-politiche che non ci portano alcun vantaggio immediato.

Pubblicato da Giornale di Brescia 25/7/2012

Che fine ha fatto Ahmadinejad?

Che fine ha fatto Ahmadinejad? Dopo la batosta elettorale della primavera scorsa che ha annullato la compagine parlamentare a lui favorevole il Presidente della Repubblica Islamica d’Iran sembra scomparso, sia a livello interno quanto, soprattutto, a livello internazionale. Il count down per il suo ultimo anno di presidenza è iniziato da oltre un mese, ma politicamente Mahmoud Ahmadinejad è finito, annientato dai suoi avversari che si stanno combattendo ferocemente per la spartizione del potere, ma che ancora utilizzano la figura ormai caricaturale del Presidente per addossargli la colpa della sempre più profonda crisi economica che sta mettendo a dura prova la vita degli iraniani. Che la situazione economica sia drammatica è provato dal fatto che all’ultimo colloquio di Istanbul, avvenuto la settimana scorsa, per la prima volta Tehran ha chiesto l’annullamento delle sanzioni in cambio dello stop al famoso arricchimento al 20% dell’uranio. La maratona di 15 ore di colloquio tra Iran e le super potenze è passata inosservata, sia perché si è trattato di discorsi super tecnici, sia perché l’opinione pubblica internazionale sembra stanca di questa negoziazione che sembra essere infruttuosa e senza fine. Ma la draconiana stretta delle nuove sanzioni varate il primo luglio, che di fatto impediscono ai paesi dell’Unione europea di importare petrolio iraniano, sta provando il Paese dell’altopiano fuori d’ogni misura. Fino a oggi l’Iran poteva contare su ancora ingenti esportazioni del proprio oro nero, ma ora il mercato europeo è definitivamente chiuso, mentre l’Iraq ha ripreso a pompare per sostituire il petrolio iraniano.

Intanto, nel paese degli ayatollah l’inflazione ha toccato il 30% e la gente fatica sempre più ad arrivare a fine mese: il costo della vita ha raggiunto livelli europei, ma gli stipendi medi non raggiungono neppure la metà del corrispettivo europeo.

La frustrazione degli iraniani è altissima, e il loro senso di isolamento si è acuito. I paesi circostanti approfittano di questa debolezza, come l’Azerbaijan, che sta fomentando la ribellione contro il governo di Tehran dei suoi quasi 25 milioni di cittadini di ceppo azeri: Baku, in ottimi rapporti con Israele, è sospettata di offrire base logistica ad operazioni spionistiche israeliane in Iran, compresi i vari attacchi al sistema informatico nucleare iraniano grazie a dei virus, verificatisi nel recente passato. E il nemico più potente dell’area, l’Arabia Saudita, sta negando i visti ai cittadini iraniani che vogliono recarsi in pellegrinaggio nei luoghi sacri dell’islam, situati, appunto in territorio saudita. Al contempo, gli iraniani, che già da tempo diffidano delle linee aeree interne ormai da tempo carenti nella manutenzione (bloccata dalle sanzioni) ora diffidano pure delle tratte internazionali solitamente coperte dalla compagnia di bandiera, l’Iran Air, e i milioni di immigrati che solitamente tornano a casa per le vacanze estive si stanno accalcando sui voli delle compagnie aeree europee e su quelle dei paesi del Golfo.

L’Iran sembra essere allo stremo, ma le sue autorità temporeggiano ancora, convinte che, almeno sino alla prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ci sia margine per evitare eventuali attacchi bellici. Così anche nell’ultimo colloquio hanno negato la chiusura dell’impianto di Fordow, presso la città santa di Qom, strategicamente situato fra montagne difficilmente attaccabili militarmente.

Gli effetti della crisi iraniana, nel frattempo, sono arrivati in Italia: a Falconara Marittima la raffineria API, cliente abituale del petrolio iraniano, ha messo 400 dipendenti in cassa integrazione. Mentre l’ENI, in credito di 2 miliardi di dollari in petrolio greggio iraniano, potrebbe vedere il suo credito annullato, per rappresaglia, dalle autorità di Tehran, non nuove a questo tipo di guerra per via economica.

 pubblicato da Giornale di Brescia 12/7/2012.