Le ultime statistiche dalla Commissione Paesi UE del Mediterraneo gelano le mimose celebrative di marzo, oramai divenuto il mese della donna, appuntamento durante il quale si confrontano dati e esperienze per stabilire quanto lontano sia il raggiungimento dell’uguaglianza di genere.
La media UE e’ ancora lontana dalla parità fra i sessi nei luoghi di comando dell’economia: solo un posto del consiglio di amministrazione ogni sette (13,7%) e’ ricoperto da una donna. Certo il risultato è leggermente migliorato rispetto all’11,8% del 2010, ma, se si mantiene questa progressione, raggiungere un equilibrio di genere accettabile richiederà altri quarant’anni.
Se poi diamo uno sguardo alle donne sul lato sud del Mediterraneo, in quella che ormai è la propaggine meridionale della UE, le cose vanno anche peggio: in alcune realtà non si tratta di lotta per raggiungere la parità lavorativa, ma di vera e propria sopravvivenza.
La situazione che desta maggior preoccupazione è quella della Tunisia, primo paese ad aver dato il via alle rivolte arabe lo scorso anno, cui le donne avevano dato manforte per migliorare le condizioni di vita dell’intera società e che invece si trovano improvvisamente sbalzate indietro, con i loro diritti acquisiti da oltre sessant’anni (che provocavano l’invidia delle altre donne dell’area nordafricana e oltre) messi in discussione.
A far detonare la miccia contro le donne sono i gruppi oltranzisti, di matrice salafita (corrente “purista” e intransigente) che, galvanizzati dalla scomparsa del dittatore laico Ben Ali (e, soprattutto, dal denaro saudita) stanno mettendo in pericolo la democrazia tunisina. Ovviamente, le donne rappresentano il segmento più esposto della società, e contro di loro si sono recentemente verificati alcuni fatti inquietanti. Innanzitutto, un attacco nella cittadina di Manouba, nel nord del Paese, al santuario di Lalla Manoubia, una “santa” sufi vissuta nel XIII secolo, particolarmente rispettata dai tunisini: gruppi salafiti hanno volantinato fra i fedeli (fra cui moltissime donne) accorsi per le usuali preghiere al luogo santo, accusandoli di blasfemia, accusa che i salafati normalmente rivolgono ai sufi, rei, ai loro occhi, di praticare un islam superstizioso. Lalla Manoubia è altresì un simbolo di coraggio e indipendenza femminili, contro il quale i salafiti si scagliano con particolare forza.
Quindi, è giunto il turno del preside della facoltà di Scienze Umanistiche locale, che è stato aggredito nel suo ufficio dal alcuni studenti salafiti per essersi opposto alla presenza alle lezioni di ragazze che indossino il niqab, il velo che copre anche il viso con esclusione degli occhi. Il preside ha dovuto chiamare le forze dell’ordine a sostegno.
Contemporaneamente, Bahri Jlassi, presidente del Partito per l’Apertura e la Fedelta’, ha chiesto che, nella costituzione tunisina venga riconosciuto agli uomini di avere, oltre alla moglie legittima, una concubina. Secondo il politico, ciò costituirebbe un rimedio efficace contro adulterio, divorzio, e, ovviamente, il nubilato: la proposta, insomma, è presentata quale aiuto alle donne tunisine!
La Tunisia è stato fra i primi paesi musulmani ad abolire la poligamia, subito dopo la Turchia: ma mentre Kemal Atatürk aveva abolito la poligamia tout court, perché aveva adottato i codici di famiglia europei, la Tunisia di Bourguiba negli anni 1950 aveva impedito che un uomo potesse contrarre un secondo e contemporaneo matrimonio invocando a giustificazione il Corano, che, di fatto, rende la poligamia eccezionale e solo storicamente giustificabile.
Ora, qualcuno vuole riportare la Tunisia e le sue donne indietro di decadi, o meglio, di secoli: la rivoluzione, per le tunisine, è ancora in corso.
pubblicato da Giornale di Brescia, 9/3/2012.