Gli Iraniani alle urne per il nuovo Majles

Il 2 marzo gli iraniani si recano alle urne per eleggere il Parlamento. Le elezioni hanno finora attirato poca attenzione, se non quella delle organizzazioni per i diritti umani che lamentano l’ulteriore stretta censoria su media e siti internet. Lo scetticismo sull’incisività di questa tornata elettorale è dovuto alla totale assenza di cordate riformiste. I protagonisti delle sfida al regime dell’ormai lontano 2009 (Mousavi e Karroubi) sono ancora agli arresti domiciliari e nessun altro ha sfondato lo sbarramento della commissione elettorale che decide chi può candidarsi. Per cui, tutti i gruppi riformisti/democratici hanno invitato i propri sostenitori a boicottare le urne.
In lizza, pertanto, ci sono solo coalizioni conservatrici che si contendono il potere, posizionate o accanto al Presidente Ahmadinejad o all’ombra della Guida Suprema, Khamenei: si tratterà, quindi, di una lotta tra poteri forti che da tempo competono per il controllo del Paese. Per Ahmadinejad, in particolare, il cui mandato presidenziale scade improrogabilmente nell’estate 2013, questa consultazione riveste particolare importanza: assicurarsi una lobby favorevole in Parlamento significa porre una sicura ipoteca sul suo futuro politico.
Sulla carta, però, le chances del Presidente sembrano deboli: delle quattro maggiori coalizioni che si presentano ai seggi (suddivise in oltre 200 gruppi!), Ahmadinejad può contare solo sul JPEE, il Fronte Permanente della Rivoluzione Islamica, che gli ha dichiarato pieno appoggio. E ciò nonostante i rapporti con il suo leader, il reazionario ayatollah Yazdi, un tempo mentore di Ahmadinajad, si siano ultimamente raffreddati per le intemperanze del Presidente nei confronti della Guida Suprema. Le dichiarazioni di Ahmadinajad, infatti, che sembrano voler ledere se non addirittura rovesciare il concetto del diritto alla leadership assoluta da parte della gerarchia religiosa, (concetto cardine della Repubblica Islamica) hanno messo in allarme Yazdi, che ha preso le distanze dal suo pupillo.
Le altre coalizioni forti sono invece o dichiaratamente pro Khamenei o lavorano in proprio, come fa quella di Mohsen Rezaei, ex generale già presentatosi come candidato alle Presidenziali del 2009; o sono comunque ostili a Ahmadinejad, come il Fronte dei Critici del Governo, guidato da due parlamentari acerrimi nemici del Presidente in carica. Ma a livello locale le coalizioni sono assai più ambigue e fluide: ad esempio, tanto nelle liste pro-Khameni quanto in quelle pro-Ahmadinejad si contano numerosi membri dei Guardiani della Rivoluzione o dei Basij.
Da questa lotta per il potere la gente comune sembra essere assai lontana: se sommiamo al loro scetticismo politico la preoccupazione per la situazione economica e l’ansia per l’incombente pericolo di un attacco militare, è facile presupporre che l’affluenza alle urne sarà un record in negativo. L’unico incentivo potrebbe essere la voce ricorrente secondo la quale ogni elettore che non adempirà al proprio diritto civile potrebbe essere schedato, rendendogli poi impossibile l’accesso a impieghi statali. La Repubblica Islamica, infatti, è abituata a oceanici afflussi alle urne, e una forte astensione verrebbe letta come segno palese di disaffezione al regime. Ma le sorprese potrebbero non mancare: trattandosi dell’Iran, il condizionale è veramente d’obbligo.

pubblicato in Giornale di Brescia 1/3/2012.