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Nonostate tutto, gli iraniani quando c’è un pericolo esterno si compattano. Washington e Tel Aviv meditino!

Le elezioni per il rinnovo del Parlamento svoltesi in Iran non hanno riservato grandi sorprese dal punto di vista del risultato: è una schiacciante vittoria per l’ala conservatrice che si riconosce nella figura della Guida Suprema, Khamenei, a discapito di quella conservatrice rappresentata dal Presidente della Repubblica Islamica Ahmadinejad. Come anticipato su queste pagine, gli schieramenti presentatisi alle urne erano ampiamente favorevoli a Khamenei, quindi Ahmadinajed aveva scarse possibilità. Certo, forse neppure il Presidente poteva immaginarsi che andasse così male, e che pure nella nativa cittadina di Garmasar venisse battuta anche la sorella Parvin, a favore di un candidato della lista conservatrice-religiosa.

Il voto rende possibile un massiccio schieramento di parlamentari che all’80% sono contrari alla linea di Ahmadinejad, rendendo gli ultimi 18 mesi della sua presidenza alquanto difficili.

Per i molti cittadini che non sono andati alle urne, boicottando volontariamente un’elezione in cui non vi era libertà nella presentazione dei candidati, e, in particolare, erano stati esclusi (o si erano autoesclusi) tutti i riformisti, queste elezioni sono alquanto insignificanti: il voto finale era nell’aria, e comunque, dal loro punto di vista, nulla cambia. Semmai, molti sono stati delusi dal voto dell’ex Presidente riformista Khatami, che si è recato alle urne nonostante l’appello a non votare dei suoi “alleati” riformisti Mousavi e Karroubi che sono ancora agli arresti domiciliari. I riformisti avevano addirittura preparato dei volantini per invitare a boicottare il voto per cui non sorprende, quindi, che ora siano apparse alcune vignette satiriche che criticano la decisione di Khatami: in una di queste, si vede l’ex presidente che si reca alle urne calpestando il sangue della giovane Neda Agha-Soltan, la ragazza uccisa durante le manifestazioni post elezioni del giugno 2009, divenuta simbolo della protesta contro il regime.

L’unica sorpresa, in realtà, potrebbe essere rappresentata dall’alta percentuale di votanti, addirittura il 65%, questa sì una vera vittoria per Khamenei, e una sorpresa pure per lui. L’astensionismo era nell’aria, tant’è che non solo la Guida Suprema s’era esposta invitando a più riprese la popolazione a votare, ma addirittura, preventivamente, aveva abbassato la soglia della percentuale necessaria per ogni candidato per poter essere eletto. Mentre nelle precedenti elezioni, infatti, occorreva il 25% dei voti raccolti in una circoscrizione per essere eletti, in questa tornata ne sono bastati il 15%.

Nei piccoli centri urbani e nei villaggi, inoltre, vi è stato un incoraggiamento monetario, per quanto modesto, volto a compensare in parte l’annullamento dei sussidi governativi che aiutavano molte famiglie ad arrivare a fine mese. Se il sussidio era stato tolto da Ahmadinejad, l’aiuto arriva da Khamenei: facile quindi ipotizzare per chi avrebbero votato i beneficiari dell’obolo.

Il giorno stesso delle elezioni, inoltre, la chiusura di seggi è stata posticipata più volte, proprio per permettere di raccogliere anche l’ultimo voto, contrariamente a quanto era successo nel giugno 2009, quando, viceversa, molti elettori s’erano lagnati perché non avevano potuto esercitare il loro diritto elettorale!

Khameni aveva esortato gli Iraniani al voto perché “dovere religioso”: ma non è solo questa la molla che ha fatto correre la gente alle urne, bensì la paura di una popolazione che è sotto scacco economico, ma anche bellico, preda di un ricatto che è nell’aria ormai da troppo tempo, di un possibile attacco militare volto, apparentemente, a fermare il loro programma nucleare. Nei giorni scorsi, mentre la vedova di uno scienziato atomico, vittima di un attentato, esortava i connazionali a votare, la stampa iraniana dava grande risalto alla notizia che gli Stati Uniti avrebbero eliminato dalla lista delle organizzazioni terroristiche anche i Mujaheddin-e khalq, nucleo iraniano ritenuto nel Paese il responsabile degli attentati contro le strutture e i fisici nucleari. Gli Iraniani, ancora una volta, si compattano contro il comune nemico esterno: un fatto che dovrebbe indurre a una profonda, ma rapida meditazione.

pubblicato da Giornale di Brescia 6/3/2012

 

Gli Iraniani alle urne per il nuovo Majles

Il 2 marzo gli iraniani si recano alle urne per eleggere il Parlamento. Le elezioni hanno finora attirato poca attenzione, se non quella delle organizzazioni per i diritti umani che lamentano l’ulteriore stretta censoria su media e siti internet. Lo scetticismo sull’incisività di questa tornata elettorale è dovuto alla totale assenza di cordate riformiste. I protagonisti delle sfida al regime dell’ormai lontano 2009 (Mousavi e Karroubi) sono ancora agli arresti domiciliari e nessun altro ha sfondato lo sbarramento della commissione elettorale che decide chi può candidarsi. Per cui, tutti i gruppi riformisti/democratici hanno invitato i propri sostenitori a boicottare le urne.
In lizza, pertanto, ci sono solo coalizioni conservatrici che si contendono il potere, posizionate o accanto al Presidente Ahmadinejad o all’ombra della Guida Suprema, Khamenei: si tratterà, quindi, di una lotta tra poteri forti che da tempo competono per il controllo del Paese. Per Ahmadinejad, in particolare, il cui mandato presidenziale scade improrogabilmente nell’estate 2013, questa consultazione riveste particolare importanza: assicurarsi una lobby favorevole in Parlamento significa porre una sicura ipoteca sul suo futuro politico.
Sulla carta, però, le chances del Presidente sembrano deboli: delle quattro maggiori coalizioni che si presentano ai seggi (suddivise in oltre 200 gruppi!), Ahmadinejad può contare solo sul JPEE, il Fronte Permanente della Rivoluzione Islamica, che gli ha dichiarato pieno appoggio. E ciò nonostante i rapporti con il suo leader, il reazionario ayatollah Yazdi, un tempo mentore di Ahmadinajad, si siano ultimamente raffreddati per le intemperanze del Presidente nei confronti della Guida Suprema. Le dichiarazioni di Ahmadinajad, infatti, che sembrano voler ledere se non addirittura rovesciare il concetto del diritto alla leadership assoluta da parte della gerarchia religiosa, (concetto cardine della Repubblica Islamica) hanno messo in allarme Yazdi, che ha preso le distanze dal suo pupillo.
Le altre coalizioni forti sono invece o dichiaratamente pro Khamenei o lavorano in proprio, come fa quella di Mohsen Rezaei, ex generale già presentatosi come candidato alle Presidenziali del 2009; o sono comunque ostili a Ahmadinejad, come il Fronte dei Critici del Governo, guidato da due parlamentari acerrimi nemici del Presidente in carica. Ma a livello locale le coalizioni sono assai più ambigue e fluide: ad esempio, tanto nelle liste pro-Khameni quanto in quelle pro-Ahmadinejad si contano numerosi membri dei Guardiani della Rivoluzione o dei Basij.
Da questa lotta per il potere la gente comune sembra essere assai lontana: se sommiamo al loro scetticismo politico la preoccupazione per la situazione economica e l’ansia per l’incombente pericolo di un attacco militare, è facile presupporre che l’affluenza alle urne sarà un record in negativo. L’unico incentivo potrebbe essere la voce ricorrente secondo la quale ogni elettore che non adempirà al proprio diritto civile potrebbe essere schedato, rendendogli poi impossibile l’accesso a impieghi statali. La Repubblica Islamica, infatti, è abituata a oceanici afflussi alle urne, e una forte astensione verrebbe letta come segno palese di disaffezione al regime. Ma le sorprese potrebbero non mancare: trattandosi dell’Iran, il condizionale è veramente d’obbligo.

pubblicato in Giornale di Brescia 1/3/2012.