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La scelta di Sudabeh

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E’ la traduzione del romanzo Bamdad-e khomar che in Iran è giunto alla 56^edizione vendendo milioni di copie e suscitando un acceso dibattito non solo tra i lettori iraniani ma pure tra gli studiosi di letteratura persiana. Romanzo popolare ambientato nella Tehran del 1900 esplora i temi delle differenze sociali e della condizione delle donne offrendo uno spaccato della vita -usi, costumi, credenze- dell’Iran, alcuni dei quali tuttora in voga.

Tempi duri in Iran

Per ora, le armi tacciono, ma il risultato di quest’ennesimo combattimento tra Israele e Palestina lascia inevitabili conseguenze, tra le quali l’ulteriore isolamento di Israele e la devastazione, morale e fisica, di Gaza.

Ma se, come è stato da più fonti ipotizzato, da parte di Israele quest’operazione è stata una sorta di avvertimento nei confronti dell’Iran non ci resta che temere il peggio. Anche se, paradossalmente, nella Repubblica Islamica d’Iran si respira un’aria quasi di vittoria: dopo mesi di accuse per l’appoggio fornito da Tehran al sanguinario alleato Assad, che brutalmente uccide i suoi cittadini a migliaia, l’Iran può di nuovo comparire sulla scena mediorientale come il difensore di musulmani innocenti, ovvero dei palestinesi. Ecco perché le autorità militari iraniane si sono affrettate a confermare che i missili in dotazione a Hamas sono stati fabbricati grazie al know how da loro fornito; mentre il portavoce del parlamento, Ali Larijani, ha dichiarato che il suo Paese è fiero di aiutare i palestinesi, lasciati soli dalle nazioni arabe.

Queste esternazioni iraniane appaiono, però, autolesioniste se affiancate a tutti i messaggi che personalità di spicco dell’establishment di Tehran stanno lanciando nei confronti degli Stati Uniti, soprattutto dopo la conferma di Obama alla presidenza: dall’attuale Presidente Ahmadinejad al suo predecessore Rafsanjani, dal capo della commissione per la sicurezza nazionale allo stesso Larijani, tutti hanno rilasciato dichiarazioni sulla necessità di comporre la diatriba sul nucleare ricorrendo a negoziati diretti con gli Stati Uniti.

Nonostante la sicurezza ostentata dal regime iraniano sul futuro dell’economia locale, il Paese ha un disperato bisogno che le sanzioni vengano alleggerite quanto prima. Medici e associazioni umanitarie iraniani stanno da tempo cercando di attirare l’attenzione sugli scaffali vuoti di farmacie e ambulatori nell’intero Paese, da dove ormai mancano pure i farmaci “salva vita” di fabbricazione estera, mettendo in pericolo più di sei milioni di cittadini. Il mese scorso, tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Europea hanno dichiarato di aver depennato molti farmaci dalla lista dei beni non commerciabili con l’Iran, ma c’è un altro problema: la paurosa inflazione di cui l’Iran è protagonista rende impossibile ai più l’acquisto anche di beni di prima necessità. Il calo di produzione (ed esportazione) del petrolio ha vuotato le casse dello stato, mentre la moneta locale è collassata.

Restrizioni e privazioni rendono nervose le autorità, scatenandole le une contro le altre, perlomeno a parole: il Ministro della Sanità, ad esempio, ha accusato la Banca Centrale per non aver messo a disposizione un budget adeguato per acquisire farmaci e strumenti dall’estero.

Sempre a parole, anche il Presidente Obama ha sottolineato la volontà di risolvere la situazione iraniana con la diplomazia: ma accetteranno le autorità iraniane le proposte internazionali? Sapranno mettere da parte le proprie ambizioni personali per il bene del Paese? Nell’estate 1988, allorché l’Iran fu costretto a firmare l’armistizio con l’Iraq, l’allora capo di Stato, ayatollah Khomeini, disse che quella pace era come “bere un calice di veleno”. Ora più che mai è necessario che il regime di Tehran s’adegui alla realpolitik, anche pretendendo di essere costretto a rinunciare alle proprie ambizioni per il bene del popolo, e beva il famoso calice.

 

 pubblicato da Giornale di Brescia, 24/11/2012

Fiere del libro e politiche culturali

Contemporaneamente alla Fiera del Libro di Torino si sta svolgendo l’analoga manifestazione a Tehran, una della maggiori d’Asia per importanza e partecipazione.  L’afflusso di pubblico e’ impressionanante, tanto da attirare pure, da qualche anno, una sempre piu’ nutrita partecipazione internazionale. Vi sono molti editori stranieri, soprattutto dal mondo anglosassone, che partecipno a titolo privato, ma vi sono anche espositori ufficiali da realta’ vicine (Afghanistan, Armenia, Turchia) nonche’ da aree piu’ remote. Se la presenza di paesi  quali la Cina, la Sierra Leone, il Brasile e la Bosnia testimoniano le piu’ o meno recenti amicizie tra queste nazioni e l’Iran,  i padiglioni di Francia, Svizzera e quello della Buchmesse di Francoforte fanno risaltare ancor piu’ la malinconica assenza di uno italiano. Certamente non possiamo competere con l’interesse suscitato fra i giovani iraniani dalle pubblicazio tecnico/scientifiche di Elsevier o dalle edizioni Springer; ma la nostra letteratura e’ assai amata sull’altopiano, prova ne sono le numerose traduzioni in persiano di Calvino, Buzzati, Silone  e di altri grandi letterati nostrani. La nostra assenza da questa importante manifestazione non fa che sottolineare una certa nostra provincialita’ nonche’ l’eterna mancanza di lungimiranza, non solo culturale.