Gli afghani sono chiamati alle urne per scegliere il nuovo Presidente. Le proiezioni danno come favoriti nella rosa di undici candidati Abdullah Abdullah, ex Ministro degli Esteri, e Ashraf Ghani, già Ministro delle Finanze, rivali in quella che, per molti aspetti, è la tornata elettorale più significativa della storia afgana dopo la caduta del regime dei Taleban. E non tanto per il risultato in sé, quanto per la modalità con cui si svolgeranno le elezioni e per la situazione che si verificherà dopo il voto.
Nel Paese in cui, dopo oltre dodici anni di permanenza, la Forza Internazionale (ISAF) si appresta a togliere definitivamente le tende, l’appuntamento del 5 aprile è soprattutto un test per verificare il processo di democratizzazione dell’Afghanistan, l’attendibilità delle sue istituzioni e il grado di sicurezza di cui possono godere i cittadini che vogliano esercitare i diritti politici.
I precedenti non sono confortanti: nella tornata elettorale del 2009, proprio l’aspirante Presidente Abdullah Abdullah abbandonò la competizione dopo la prima tornata accusando il rivale Karzai di brogli elettorali. E per evitare, o, almeno, per limitare la possibilità di brogli, in questi anni le istituzioni afgane hanno compiuto un lungo e laborioso processo, riscrivendo la legge volta a formare le commissioni elettorali in base a criteri democratici, chiamando all’appello membri della società civile come docenti, segretari dei maggiori partiti, membri dell’apparato giudiziario, parlamentari. Tuttavia, nonostante la buona volontà dei singoli, la fragilità delle istituzioni afgane rimane tale, soprattutto perché lo stato non è capace di garantire la loro funzionalità, in quanto non è in grado di proteggere la sicurezza personale dei suoi attori. La strategia talebana di colpire proprio i leader delle istituzioni, dai segretari dei partiti politici a quei religiosi che non si conformano all’islam creato dai Taleban, ha dato in suoi nefasti frutti: lo scorso anno la missione ONU in Afghanistan ha dichiarato che, pur essendo diminuito il numero dei civili periti per mano talebana, è esponenzialmente aumentato quello dei funzionari di stato, dei leader di comunità, delle personalità impegnate nel processo di pace, scientemente eliminai. I Taleban non hanno più bisogno di eclatanti combattimenti, basta loro prendere di mira con precisione chi agisce da parte del governo per screditarlo e convincere la popolazione a non collaborare con le istituzioni. I Taleban sanno che, con la dipartita della ISAF, il tempo è dalla loro parte; certo, l’ISAF ha addestrato circa 350mila afgani che rimarranno a proteggere la popolazione, ma basteranno, visto che non più tardi di quattro giorni fa un commando suicida si è fatto esplodere all’interno del Ministero della Difesa di Kabul provocando sei morti?
Apparentemente per ovviare a questa situazione, l’uscente Presidente Karzai in questi ultimi tempi s’è avvicinato ai Taleban, tentando di coinvolgerli nella costruzione del Paese; la maggioranza dei Taleban però è contraria alle elezioni, che ritengono illegittime, e ha già invitato la popolazione a distruggere i certificati elettorali.
Tuttavia, anche il fronte talebano presenta incertezze, non essendo più compatto come un tempo; parte dei Taleban potrebbe invece attendere l’esito elettorale, confidando nel successo di un candidato disposto poi a negoziare un accordo a loro favorevole.
da Giornale di Brescia 5/4/2014