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Iran e accordo nucleare: un commento “da parte iraniana”….

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A Tehran si festeggia. Finalmente, l’accordo raggiunto a Ginevra tra la Repubblica Islamica d’Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio delle Nazioni Unite concede all’Iran di alleggerire il peso delle sanzioni internazionali in cambio di una limitazione del proprio programma d’arricchimento dell’uranio. Per quanto fragile, quest’accordo permette all’Iran di allontanare la minaccia di una guerra internazionale nei propri confronti, ma, soprattutto, di rientrare nel giro internazionale. Il nuovo ruolo dell’Iran sarà di beneficio a tutti, e se Tehran potrà ricominciare a vendere il proprio petrolio, facendo ridecollare la languente economia, il nuovo canale di diplomazia e dialogo aperto con gli Stati Uniti potrebbe portare a una collaborazione volta a comporre i conflitti tutt’ora aperti in zone calde quali l’Iraq, la Siria e l’Afghanistan. I due recentissimi attacchi suicidi compiuti ai danni dell’ambasciata iraniana a Beirut hanno dimostrato come nessuno nell’area medio orientale allargata si salvi dal complesso di forze reazionarie e terroristiche (Al Qaeda, salafiti ecc.) che operano contro chiunque, occidentale o no, si frapponga ai loro obiettivi. Paradossalmente, Stati Uniti e Iran condividono ora un interesse comune contro le centrali di terrore che sono proliferate soprattutto dopo la guerra in Iraq.

Tehran festeggia perché l’accordo è stato raggiunto senza umiliazione, cosa che più paventava. Non per nulla, solo pochi giorni fa la Guida suprema Khamenei, mentre i suoi diplomatici erano già seduti al tavolo delle trattative di Ginevra, aveva sferrato un ennesimo attacco nei confronti degli Stati Uniti dichiarando che mai e poi mai il suo Paese si sarebbe piegato cedendo il proprio diritto ad acquisire il nucleare per scopi civili. I recenti eventi, invece, dimostrano coma la sparata di Khamenei fosse una sorta di rito esorcistico, visto che si è precipitato a congratularsi col Presidente Rouhani per l’accordo raggiunto, considerandolo “la base per ulteriori saggi sviluppi”. Rouhani, a sua volta, ha ringraziato Khamenei per il ruolo di guida e supporto svolto durante il lungo ed estenuante negoziato. Quest’accordo rappresenta un importante rafforzamento della posizione interna di Rouhani, il quale in soli 100 giorni di mandato è riuscito a ricomporre un conflitto che durava da oltre dieci anni. E’ stato proprio il Presidente Rouhani, coadiuvato dal suo Ministro degli Esteri, Zarif, infatti, a tessere le trame per un nuovo rapporto con le potenze occidentali, dopo la disastrosa esperienza del suo successore Ahmadinejad. Il nuovo razionalismo di Rouhani gli ha consentito dapprima di recarsi alle Nazioni Unite come ambasciatore di un “new deal” iraniano, quindi di stabilire un contatto telefonico con il suo corrispettivo americano, Obama, e finalmente di portare a casa l’accordo sul nucleare.

Che a Tehran si respiri aria nuova sul fronte diplomatico è dimostrato pure dal fatto che, sollecitato ad esprimere un proprio giudizio sull’ostilità israeliana (Netanyahu ha definito l’accordo sul nucleare “un errore storico”) e saudita nei confronti della raggiunta intesa, il Ministro degli Esteri iraniano Zarif ha prudentemente commentato che quanto stabilito a Ginevra è positivo e foriero di benefici per il Medio Oriente e per tutto il mondo indistintamente, quindi non vi è nessuna giustificazione per affermare il contrario. Per la diplomazia iraniana il tempo degli slogan contro tutti sembra finito, almeno momentaneamente.

Iran e US: troppi falchi

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Per Stati Uniti e Iran è tempo di raggiungere un accordo sul nucleare. Se il Presidente iraniano Rouhani ne ha impellente necessità per far uscire il suo Paese dall’impasse economica determinata dalle sanzioni, Obama ne ha urgenza per chiudere definitivamente la possibilità di un confronto militare di cui sarebbero ritenuti responsabili gli Stati Uniti, e che avrebbe conseguenze catastrofiche per il mondo intero.

Pure, ci sono i falchi dei rispettivi Paesi che remano contro a un sempre più vicino accordo: se a Washington un gruppo di senatori minaccia l’Iran di nuove sanzioni, a Tehran nei giorni scorsi s’è celebrato il 34° anniversario della presa dell’ambasciata americana da parte dei rivoluzionari khomeinisti, che hanno riempito l’aria della inquinata capitale con slogan di “morte all’America”. Che a Washington la lobby delle armi e della guerra sia sempre all’opera è risaputo; meno conosciuta è la situazione all’interno dell’Iran, dove negli ultimi mesi sembrava che l’antico odio verso il “grande Satana” (ovvero, gli Stati Uniti) si fosse dissolto, e che merita quindi una riflessione.

Rouhani, si sa, ha avviato un nuovo rapporto con Washington fatto di diplomazia e avvicinamento; questo new deal è incoraggiato dal leader supremo, Khamenei, acerrimo nemico degli USA da sempre, ma che, ultimamente, con il pragmatismo tipico della leadership politica iraniana, ha dato il suo beneplacito alle trattative sul nucleare, senza intervenire in prima persona, ma lasciando che sia il neo Presidente a esporsi. Tuttavia, quest’ultimo, è bene ricordarlo, senza l’appoggio di Khamenei non andrebbe molto lontano.

La nuova Presidenza ha comportato, tra le altre cose, la rimozione degli ultimi murales anti USA, ormai sbiaditi, su alcuni edifici nella capitale iraniana. Ma alcuni gruppi di irriducibili, quali il Corpo della Guardie Rivoluzionarie e i Basij (sorta di milizia para militare formatasi nei primi giorni della Rivoluzione) hanno rilanciato la sfida a Rouhani e compagni, istituendo un premio per la miglior opera visiva che celebri l’anti americanismo internazionale (Grande Premio“Morte all’America”), nonché organizzando la manifestazione di protesta contro gli Stati Uniti tenutasi il 4 u.s.

Tutto ciò conferma, ancora una volta, come il regime iraniano sia frammentato, fin dal suo incipit, causa le diverse ideologie sottostanti ai vari movimenti unitisi per attuare la Rivoluzione Islamica del 1978-79. Il potere è retto da un sistema in cui diverse elite si combattono quotidianamente, unite solo da un unico desiderio di controllare la società, e che, paradossalmente, sono tenute in vita proprio da questa dialettica. In questo momento i gruppi che contrastano Rouhani e la sua politica riformista cercano di sbilanciare la tensione e l’attenzione sulla politica estera, per far fallire il negoziato con gli Stati Uniti e ridurre le pretese del riformisti. Questi ultimi, infatti, stanno lavorando non solo sul fronte esterno, ma soprattutto, su quello interno, creando vasto consenso tra la popolazione. Il giorno della manifestazione anti USA, il ministro della Cultura, Ali Jannati, ha annunciato il suo piano per legalizzare definitivamente i social network (il cui accesso, al momento, è inficiato dalla censura e da continue interruzioni di servizio); mentre altri collaboratori scelti da Rouhani stanno coinvolgendo organi governativi e ONG per attuare riforme nei confronti della censura non solo nei confronti di manifestazioni culturali (stampa, letteratura, arti varie) ma anche per sollevare la stretta sulla vita quotidiana dei cittadini.

Tutto ciò è avversato dai falchi, che temono la riduzione del loro potere mantenuto tramite una politica del terrore.

Nella negoziazione sul nucleare, quindi, non contano solo il numero delle centrifughe concesse a Tehran o delle pur necessarie visite degli ispettori AIEA agli impianti iraniani; è in gioco un futuro migliore per decine di milioni di iraniani e per il mondo intero.

da  10/11/2013.

Nucleare iraniano: attenzione a non umiliare

Dopo ripetuti e falliti colloqui, quello di Istanbul s’è aperto con un cauto ottimismo da parte delle potenze occidentali, convinte che l’Iran sia fiaccato dalle sanzioni, dall’inflazione interna, e dalla paura di un possibile attacco israeliano. Siano queste o no le motivazioni, è certo che da parte iraniana sembra manifestarsi, rispetto al passato, una più chiara volontà di compromesso.

Dopo le ripetute dichiarazioni della Guida Suprema, Khamenei, che ha dichiaro che le armi nucleari sono contrarie all’islam (riprendendo la fatwa, o responso religioso, già espresso molti anni fa dal leader della Rivoluzione, l’ayatollah Khomeini), alla vigilia dei colloqui è apparso sul Washington Post un lungo articolo firmato da Ali Akbar Salehi, Ministro degli Esteri iraniano, il quale ribadisce la volontà del proprio paese di perseguire il nucleare solo per scopi pacifici e di essere convinto della necessità del dialogo con tutte le potenze. Salehi, però, ha sottolineato che il dialogo deve svolgersi nel mutuo rispetto: e in ciò, forse, sta la chiave per l’esito positivo dei colloqui e per la loro prosecuzione. Non bisogna dimenticare, infatti, che le autorità iraniane si stanno giocando la faccia in questo negoziato e che non possono assolutamente permettersi di presentarsi all’interno del proprio Paese come coloro i quali hanno ceduto perché stretti dalle sanzioni e dalla pressione internazionale. L’Iran ha già subito lo smacco di almeno quattro scienziati nucleari uccisi all’interno del proprio territorio: dopo aver accusato le potenze straniere degli assassini, il mese scorso ne hanno avuto conferma proprio dalla rete americana NBC, cui due alti ufficiali di stato hanno confessato che le uccisioni degli scienziati è stata portata a termine da agenti del MEK (Mujaheddin-e Khalq), un’organizzazione terroristica iraniana anti-regime che ora opera grazie ai finanziamenti e alla protezione statunitense.

I sospetti iraniani sono forti anche nei confronti dell’agenzia per nucleare IAEA, i cui ispettori sono diffidati quali possibili agenti segreti che, con la scusa di controllare gli impianti nucleari, passerebbero poi preziose informazioni logistiche alle potenze straniere. La stampa iraniana ha più volte ricordato il precedente iracheno: negli anni ’90, infatti, l’UNSCOM, agenzia speciale creata dall’ONU per controllare l’arsenale di Saddam, risultò essere una base grazie alla quale i servizi segreti americani poterono costruire un’intelligence interna, utilizzata in seguito per abbattere il dittatore di Baghdad.

Ecco perché l’Iran non vuole, nelle fila degli ispettori IAEA incaricati di ispezionare l’altopiano, nessun cittadino di paesi anglosassoni.

Al di là di sospetti e diffidenze, in Iran l’aspettativa per questi colloqui è forte; qualche giorno fa s’è espresso in modo favorevole alla ripresa di rapporti con il resto del mondo, Stati Uniti compresi, anche l’ex Presidente della Repubblica Rafsanjani. Parlando a una rivista di studi internazionali iraniana, Rafsanjani, da tempo all’opposizione, anche se riveste tutt’ora un’alta carica di stato, ha ribadito il non interesse dell’Iran per il nucleare bellico. Ma anche Rafsanjani ha sottolineato la necessità di “rapporti alla pari”. L’orgoglio nazionale iraniano unisce il regime ai suoi oppositori ed è importante tenerne conto, se si vuole arrivare ad un compromesso, necessario a tutti.

pubblicato da Giornale di Brescia 17/4/2012