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Iran e US: troppi falchi

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Per Stati Uniti e Iran è tempo di raggiungere un accordo sul nucleare. Se il Presidente iraniano Rouhani ne ha impellente necessità per far uscire il suo Paese dall’impasse economica determinata dalle sanzioni, Obama ne ha urgenza per chiudere definitivamente la possibilità di un confronto militare di cui sarebbero ritenuti responsabili gli Stati Uniti, e che avrebbe conseguenze catastrofiche per il mondo intero.

Pure, ci sono i falchi dei rispettivi Paesi che remano contro a un sempre più vicino accordo: se a Washington un gruppo di senatori minaccia l’Iran di nuove sanzioni, a Tehran nei giorni scorsi s’è celebrato il 34° anniversario della presa dell’ambasciata americana da parte dei rivoluzionari khomeinisti, che hanno riempito l’aria della inquinata capitale con slogan di “morte all’America”. Che a Washington la lobby delle armi e della guerra sia sempre all’opera è risaputo; meno conosciuta è la situazione all’interno dell’Iran, dove negli ultimi mesi sembrava che l’antico odio verso il “grande Satana” (ovvero, gli Stati Uniti) si fosse dissolto, e che merita quindi una riflessione.

Rouhani, si sa, ha avviato un nuovo rapporto con Washington fatto di diplomazia e avvicinamento; questo new deal è incoraggiato dal leader supremo, Khamenei, acerrimo nemico degli USA da sempre, ma che, ultimamente, con il pragmatismo tipico della leadership politica iraniana, ha dato il suo beneplacito alle trattative sul nucleare, senza intervenire in prima persona, ma lasciando che sia il neo Presidente a esporsi. Tuttavia, quest’ultimo, è bene ricordarlo, senza l’appoggio di Khamenei non andrebbe molto lontano.

La nuova Presidenza ha comportato, tra le altre cose, la rimozione degli ultimi murales anti USA, ormai sbiaditi, su alcuni edifici nella capitale iraniana. Ma alcuni gruppi di irriducibili, quali il Corpo della Guardie Rivoluzionarie e i Basij (sorta di milizia para militare formatasi nei primi giorni della Rivoluzione) hanno rilanciato la sfida a Rouhani e compagni, istituendo un premio per la miglior opera visiva che celebri l’anti americanismo internazionale (Grande Premio“Morte all’America”), nonché organizzando la manifestazione di protesta contro gli Stati Uniti tenutasi il 4 u.s.

Tutto ciò conferma, ancora una volta, come il regime iraniano sia frammentato, fin dal suo incipit, causa le diverse ideologie sottostanti ai vari movimenti unitisi per attuare la Rivoluzione Islamica del 1978-79. Il potere è retto da un sistema in cui diverse elite si combattono quotidianamente, unite solo da un unico desiderio di controllare la società, e che, paradossalmente, sono tenute in vita proprio da questa dialettica. In questo momento i gruppi che contrastano Rouhani e la sua politica riformista cercano di sbilanciare la tensione e l’attenzione sulla politica estera, per far fallire il negoziato con gli Stati Uniti e ridurre le pretese del riformisti. Questi ultimi, infatti, stanno lavorando non solo sul fronte esterno, ma soprattutto, su quello interno, creando vasto consenso tra la popolazione. Il giorno della manifestazione anti USA, il ministro della Cultura, Ali Jannati, ha annunciato il suo piano per legalizzare definitivamente i social network (il cui accesso, al momento, è inficiato dalla censura e da continue interruzioni di servizio); mentre altri collaboratori scelti da Rouhani stanno coinvolgendo organi governativi e ONG per attuare riforme nei confronti della censura non solo nei confronti di manifestazioni culturali (stampa, letteratura, arti varie) ma anche per sollevare la stretta sulla vita quotidiana dei cittadini.

Tutto ciò è avversato dai falchi, che temono la riduzione del loro potere mantenuto tramite una politica del terrore.

Nella negoziazione sul nucleare, quindi, non contano solo il numero delle centrifughe concesse a Tehran o delle pur necessarie visite degli ispettori AIEA agli impianti iraniani; è in gioco un futuro migliore per decine di milioni di iraniani e per il mondo intero.

da  10/11/2013.