Dopo mesi, gli egiziani sono tornati in piazza, sostanzialmente per protestare contro la bozza della nuova Costituzione che sembra non tenere in debito conto i diritti delle minoranze religiose e di donne e bambini, mentre di fatto rafforza il ruolo della religione (islamica) nella politica e nella vita pubblica.
La contestazione nei riguardi della commissione incaricata di redigere la nuova Costituzione non è certo scoppiata in questi giorni, in quanto da tempo gli egiziani ne lamentavano la scarsa trasparenza e il peso eccessivo dei suoi componenti “religiosi”, sproporzionatamente maggioritari rispetto agli altri. Così, le accuse alla commissione costituzionale vanno a sommarsi a quelle più generalmente rivolte al Presidente Morsi, giunto al giro di boa dei primi cento giorni al potere: e l’addebito principale contestato al Presidente è la sua volontà di ridurre l’Egitto al completo controllo dei Fratelli Musulmani, di cui Morsi è esponente ed espressione. Secondo i suoi detrattori, Morsi, privo di alcuna esperienza politica, sarebbe pilotato dalla Fratellanza alla quale sta assoggettando le principali cariche del Paese. Forte degli immensi poteri garantiti al Presidente della Repubblica dai tempi di Mubarak, Morsi ha investito delle massime cariche statali membri dei Fratelli Musulmani o, in alternativa, ha nominato personaggi che non intendono sbarrarne la strada al potere assoluto: sarebbe il caso di Al Sisi, scelto quale capo delle Forze Armate, unica istituzione in grado di rappresentare un degno contraltare ai Fratelli, un militare che non pare volersi mettere in rotta di collisione con la nuova dirigenza. Se, da un lato, l’opinione pubblica approva il ridimensionamento dell’esercito, il braccio destro della repressione del defunto regime, dall’altro non può che essere preoccupata dall’indebolimento dell’unica vera forza d’opposizione allo strapotere dei Fratelli Musulmani.
Altro elemento di forte preoccupazione per il cammino democratico del Paese è la stretta data dal nuovo governo alla stampa: dopo un incontro avvenuto la scorsa estate in cui Morsi ha annunciato all’associazione giornalisti che la loro opera verrà sottoposta al controllo della shura (l’organismo parlamentare in cui i Fratelli Musulmani detengono la maggioranza), sono cadute le speranze che il nuovo corso egiziano liberasse l’informazione dalla censura. E l’immediato oscuramento di un canale satellitare e l’accusa ad alcuni giornalisti di diffamazione nei confronti del Presidente hanno rafforzato l’idea che la censura di Mubarak si sia trasformata nella censura di Morsi.
Paradossalmente, Morsi subisce le accuse non solo da parte degli egiziani laici o che comunque non sono in accordo con la politica dei Fratelli Musulmani, ma pure quelle delle frange religiose estreme come quella salafita, che preme per una maggiore “islamizzazione” del Paese. Così, Morsi e i Fratelli sono costretti a promuoversi come un modello alternativo tanto agli uni quanto agli altri, onde sottolineare la propria peculiarità. I Fratelli minacciano la secolarizzazione dell’Egitto per differenziarsi dai “laici” dell’epoca Mubarak, ma, al contempo, in contrasto con i salafiti, debbono tener fede al loro impegno di provare come l’etica religiosa (islamica) sia compatibile coi principi della democrazia.
Il compito di Morsi e dei Fratelli è assai arduo e la transizione dell’Egitto ancora lunga e piena di insidie.
pubblicato da Giornale di Brescia 20/10/2012