Baghdad e nucleare iraniano

Ci riprovano. Il 23 maggio le grandi potenze occidentali si incontrano con i rappresentanti della Repubblica Islamica d’Iran a Baghdad per discutere di nucleare. Dopo il timido risultato di Istanbul nell’aprile scorso che, in sostanza, ha più che altro solo fatto riprendere le trattative in un clima meno teso, questa volta lo scenario si apre con molte novità. Innanzitutto, il cambio di presidenza in Francia può essere ricco di conseguenze: Sarkozy ha sempre usato la linea dura con l’Iran, chiedendo l’inasprimento delle sanzioni e non nascondendo una sua eventuale propensione ad un intervento armato (Libia docet). Ma Hollande sta prendendo le distanze dal suo predecessore e intende perseguire una nuova politica estera. Ciò non significa che Parigi intenda stravolgere la propria posizione nei confronti del nucleare iraniano, ma in questi giorni un ex primo ministro socialista, Michel Rocard, si è recato in Iran per una visita privata, il cui significato non è certo sfuggito alle autorità iraniane, che ora si sentono imbaldanzite dal venir meno di un nemico sullo scacchiere internazionale.

Nel frattempo la Cina, che aveva riluttantemente diminuito le importazioni di greggio iraniano, le ha riprese su vasta scala. Qualche osservatore ha sottolineato che potrebbe trattarsi solo di una ritorsione dovuta all’ospitalità offerta dagli Stati Uniti ad dissidente cinese Chen Guangcheng, ma in realtà il traffico di petrolio dal Golfo Persico verso la Cina è ripreso alacremente già da due mesi, confermando come Beijing sia alleata poco affidabile nel gruppo dei 5+1.

Inoltre, per la coesione del gruppo internazionale “anti nucleare iraniano” la defezione di Putin al summit dei G8 tenutosi nei giorni scorsi a Washington suona come un campanello d’allarme: che la posizione della Russia nei confronti dell’Iran sia sempre stata ambigua è risaputo, ma in questo momento una ritirata di Mosca comprometterebbe la già poco solida unione dei 5+1.

Su tutto, pesa la profonda crisi che sta sconvolgendo alcuni paesi europei per i quali cancellare le entrate di petrolio iraniano significherebbe dover aumentare i prezzi del combustibile, provando ulteriormente le economie e le tasche dei già scontenti contribuenti.

Tutte notizie che non possono che rallegrare Tehran, che, peraltro, ha teso la mano consentendo l’ingresso nel Paese degli ispettori IAEA, capitanati dal generale Amano, la prima spedizione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che atterra sul suolo iraniano dal 2009, quando l’IAEA era ancora diretta dall’egiziano Baradei, ritenuto troppo “morbido” nei confronti delle pretese iraniane. Amano e i suoi, invece, vogliono risultati concreti, così come auspicano i 5+1 che colloquiano a Baghdad.

Anche Tehran ha un disperato bisogno di riallacciare le relazioni internazionali, soprattutto di poter riacquistare materiale di ricambio per l’aviazione civile e strumentazione medica di qualità, elementi che difettano ormai da troppo tempo sull’altipiano, facendo, tra l’altro, crescere il senso di insicurezza dei cittadini, molti dei quali hanno rinunciato a effettuare voli interni dopo che si è sparsa la voce che le forniture aeree provengono solo da paesi in via di sviluppo e quindi sarebbero inaffidabili.

Ma la trattativa si presenta tutt’altro che facile, poiché entrambe le parti pretendono un primo passo dall’altra, mentre il successo dell’iniziativa è legato solo a una simultanea azione concreta da parte di entrambi i contendenti.

pubblicato in Giornale di Brescia 23/5/2012