Le “illuminate” monarchie del Golfo si organizzano contro il vento della democrazia

Leggi il mio art. pubblicato sul Giornale di Brescia 14/5/2011

La decisione del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), organismo che riunisce i maggiori stati monarchici del mondo arabo, di inglobare anche i due rimanenti regni (Marocco e Giordania) non giunge inaspettata: si tratta di un’ennesima manovra strategica con la quale i paesi conservatori stanno tentando di arginare il vento della rivoluzione che serpeggia fra il versante arabo del Mediterraneo. Creato nel 1981 quale coalizione volta ad arrestare la possibile espansione della Rivoluzione Iraniana, il CCG si configura come un patto economico, ma pure di alleanza e sicurezza fra i principali paesi del Golfo. Fino a poco tempo fa il CCG poteva contare sull’appoggio esterno di Egitto e Siria, ma i recenti avvenimenti hanno ribaltato lo scacchiere politico d’entrambi i paesi: se la dipartita di Mubarak ha, infatti, privato il CCG di un fedele alleato, la pericolosa vicinanza del regime di Damasco con quello di Tehran inquieta le ricche monarchie che temono l’allargarsi delle presenza iraniana in Medio Oriente. Ecco quindi che la Giordania e pure il geograficamente lontano Marocco potrebbero rimpiazzare i due perduti alleati, entrambi governati da monarchie al momento stabili. Secondo i CCG, infatti, non c’è da fidarsi del modello di “leadership militare repubblicana” rovinosamente caduto in questi ultimi mesi, meglio affidarsi a monarchie “illuminate” (!). Certo neppur le nuove entrate possono far fronte alla potenza di fuoco iraniana, neppure se questa viene tenuta lontana dal raggiungere gli obiettivi nucleari, ma il CCG confida nell’appoggio esterno degli Stati Uniti, impegnati a difendere anche un singolo paese membro del CCG che venisse attaccato dall’esterno. Gli stati del Golfo non amano neppure l’Iraq condotto dal premier Nouri al Maliki con la sua maggioranza sciita, ma è soprattutto l’Iran che temono, tanto d’aver ingaggiato una “proxy war” in Bahrein, mandando un cospicuo numero di soldati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati proprio per frenare l’avanzata iraniana. Che l’Iran abbia interesse per il Bahrein, paese a maggioranza sciita, è indubbio, ma è altrettanto indubbio che i membri del CCG stiano lavorando per propagandare la rivolta in Bahrein come una questione religiosa fomentata da Tehran, mentre invece i bahreiniti stanno lottando per ottenere libertà e democrazia in un regime autoritario e obsoleto. Ma altrettanto inquietante è la minaccia interna: le rivoluzioni tunisina, egiziana, siriana, yemenita non sono passate inosservate fra i giovani del Golfo: certo, questi ultimi non hanno soverchi problemi economici, ma ora sognano democrazia e libertà, prerogative che i loro genitori non hanno perseguito perché si sono trovati sbalzati da capanne di pastori e pescatori ai lussuosi grattacieli coabitati da celebrità internazionali. Ora i giovani del Golfo si stanno organizzando in riunioni segrete o tramite i social network e chiedono partecipazione sociale, una maggiore trasparenza sul modo di impiegare le risorse del maggior polo mondiale per le esportazioni petrolifere, un parlamento che sia espressione della volontà popolare. Solo per aver organizzato qualche assemblea all’università lo scorso aprile alcuni studenti sauditi e degli emirati sono stati arrestati, passando dalla gabbia dorata dei grattacieli costieri alle poco ospitali prigioni di stato. Ma la parola “dignità” in arabo ha recentemente assunto nuovo significato e sarà difficile chiudere tutte le bocche che vogliono pronunciarla.