Oman e multicultura

Il recente censimento condotto in Oman delinea un paese abitato da 3 milioni di individui, uno dei quali di provenienza estera. In alcune zone, quali la provincia di Muscat, gli stranieri costituiscono metà della popolazione: indiani, pakistani, coreani, filippini sono visti come una risorsa, non come una minaccia da destinare solamente a umili lavori. Lungo i viali fioriti della capitale e nei villaggi, Omaniti in dishdasha (lunga tunica maschile che arriva ai piedi) e omanite dal volto totalmente coperto si affiancano a indiane in sari e europee in bermuda.

In questi giorni di festa per il mondo cristiano, suntuosi alberi di natale addobbano le hall degli alberghi internazionali, affollati altresì di turisti omaniti che, pur aderendo alla versione dell’islam ibadita, alquanto scevra da fronzoli e superfetazioni, non reagiscono istericamente come qualche nostro compatriota in presenza di manifestazioni legate a tradizioni altrui. Gli omaniti mangiano cibo arabo e samosa indiani, aprono le loro moschee agli “infedeli” e, soprattutto, si fermano spontaneamente lungo un wadi polveroso e impervio ad aiutare chi ha la gomma a terra, mentre gli occidentali sfrecciano via incuranti.

Naturalmente non sosteniamo che l’Oman sia un paese perfetto, ma certo è un esempio di come la convivenza multietnica e multi religiosa non sia una chimera.