La notizia che l’emiro del Qatar sarebbe pronto a finanziare l’apertura di un museo di arte islamica a Venezia ha provocato sconcerto, soprattutto in seno a partiti non favorevoli al mondo musulmano in generale, i cui esponenti ravvedono, alla base dell’impresa, non tanto un progetto culturale, quanto un disegno per allargare l’influenza dell’islam in Italia, mascherando questa espansione in abiti artistici. Insomma, il museo costituirebbe, secondo tale visione, una sorta di novello cavallo di Troia che porterebbe l’islam ufficialmente nel cuore del nostro Paese. Altre voci, non solo di politici, accolgono favorevolmente il piano, sottolineando come altre nazioni europee (quali la Francia) abbiano già intrapreso progetti di joint venture artistiche con i paesi del Golfo e come Venezia, con il suo passato di ponte verso il mondo ottomano, ben si presti a divenire la sede per tale opera.
Al di là delle considerazioni puramente culturali, è ovvio che si tratti di un’operazione politico-economica, i cui protagonisti hanno intenti ben precisi: noi, di avere finanziamenti e rapporti privilegiati con il ricco paese arabo; il Qatar – o, meglio, la sua dirigenza – di avere a disposizione un’ennesima vetrina dove accreditarsi internazionalmente, facendo dimenticare (per chi volesse farlo) i numerosi abusi di diritti umani perpetuati all’interno dei patri confini.
Certo in questa machiavellica operazione in cui da un lato ci facciamo promotori dei diritti umani internazionali, dall’altro ignoriamo i soprusi compiuti da governi amici (ovvero quelli con cui intratteniamo rapporti economici) non siamo i soli; sotto l’insegna di pecunia non olet, la FIFA ha chiuso gli occhi sugli incredibili prevaricazioni compiute nei riguardi dei lavoratori già da parecchi mesi impiegati (o, meglio, schiavizzati) nelle faraoniche costruzioni destinate a ospitare i mondiali di calcio che si svolgeranno in Qatar nel 2022. Solo recentemente, dopo che, tra gli altri, l’autorevole The Guardian si è lanciato in una campagna di denuncia delle terribili condizioni in cui sono tenuti gli operai provenienti perlopiù dal sud est asiatico che stanno lavorando alle strutture calcistiche qatariane, la FIFA ha richiesto a Doha di dare tangibili prove del miglioramento delle condizioni dei lavoratori migrati. Che la situazione sia particolarmente grave è testimoniato dal fatto che la stessa dirigenza di Doha ha ammesso la morte di 185 operai avvenuta nel 2013 solo nella comunità nepalese; di questo passo, si potrebbe arrivare alle porte dell’evento 2022 collezionando parecchie miglia di vittime del lavoro. Le morti sono causate soprattutto dalle pessime condizioni igienico sanitarie degli alloggiamenti dei lavoratori, veri alveari dal sistema fognario e sanitario pessimi. Gli operai sono costretti a lavorare con turni massacranti, in ambienti spesso caldissimi; ironia della sorte, questi uomini costruiscono stadi avveniristici dove le torride temperature dell’estate 2022 dovrebbero essere mitigate da climatizzatori, lavorando privi di qualsiasi sistema di ventilazione con temperature impossibili.
Qatar, Arabia Saudita e altri paesi del Golfo stanno progressivamente comperando istituzioni e imprese nei paesi europei, ospitando, nel contempo, istituzioni e imprese europee nei loro territori, seguendo il basilare principio secondo il quale gli arabi pagano e gli europei si fanno comperare. In questo gioco di mercato, l’islam non c’entra, c’entrano solo la “loro” voglia di egemonia e la “nostra” cupidigia.
da Giornale di Brescia 7/2/2013