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crisi egiziana

Nel ritratto fornito dai media internazionali della crisi egiziana in atto prevale la descrizione di un Paese diviso tra islamisti (Fratelli Musulmani e salafisti) da un lato e opposizione laica dall’altro. Quest’ultima, formata da gruppuscoli liberali, minoranze religiose e sociali, starebbe lottando contro l’estensione di potere che il Presidente Morsi ha proclamato per se stesso e contro la bozza di costituzione che porterebbe all’imposizione di un modello statale religioso.

Certo è che una parte degli egiziani sta protestando contro il ruolo dittatoriale che Morsi si sta ricavando; meno certa è questa apparente dicotomia tra “religiosi” che vogliono l’implementazione della shari’a e laici che la rifiutano. Vediamo innanzitutto i termini della costituzione: nella nuova bozza i riferimenti alla legge islamica sono menzionati solo negli articoli 2 e 219. L’art 2, che esiste fin dai tempi di Sadat, prevede che i principi della legge islamica siano le fonti principali della costituzione. Mentre i salafiti hanno protestato, chiedendo che l’art 2 preveda la shari’a quale unica fonte, gli altri gruppi, compresi laici e cristiani, non hanno avuto nulla da eccepire al mantenimento dell’art 2 così com’è ora. Nonostante la mediazione qualificata (da punto di vista religioso) dell’imam della moschea di al Azhar, su questo punto non si è riusciti a trovare l’accordo, e così vari membri del Comitato per la Costituzione, fra cui il candidato perdente alla presidenza, Amr Mousa, e leader di partiti laici hanno ritirato il loro appoggio alla bozza, chiedendo, al contempo, di rivedere pure il ruolo di alcune istituzioni statali quali la magistratura e l’esercito.

Tale ritiro era inteso a far fallire l’appuntamento per il licenziamento della bozza della costituzione previsto per il 12 dicembre, con il conseguente obbligo da parte di Morsi di rinominare nuovi  esperti e re iniziare il procedimento da capo: un vero colpo per Morsi, già accusato di non aver realizzato nessuno degli obiettivi promessi durante i primi cento giorni di presidenza.

I partiti laici non si sono lanciati in richieste di separazione tra religione e stato, né nelle piazze gremite di manifestanti “anti-Morsi” si sono uditi slogan di richiesta di “secolarizzazione”: anche perché le opposizioni laiche stanno bene attente a non lasciare la fiaccola dell’islam nelle mani esclusive dei Fratelli Musulmani in un Paese in cui l’identità musulmana è comunque condivisa dalla stragrande maggioranza.

La crisi egiziana è squisitamente politica: i Fratelli Musulmani si stanno ponendo come unici arbitri del Paese, convinti che il successo ottenuto alle elezioni garantisca loro un governo incondizionato che non tenga conto dell’opposizione. Ma quest’ultima ha dimostrato di poter continuare a riempire le piazze di migliaia di dimostranti, segno che i Fratelli non hanno una maggioranza definitiva, così come bisogna ricordare che Morsi è stato eletto con una risicata maggioranza del 51% dei voti: l’”islam politico” non è quindi così prevalente come si vorrebbe far pensare, solo più prevaricatore. E’ contro questo modello autoritario imposto dai Fratelli e da Morsi che le opposizioni si stanno organizzando. Per uscire dalla crisi, l’Egitto ha anche bisogno di uscire dalla pretestuosa dicotomia tra “islamisti” e “laici”, ripensando invece a costruire una democrazia che rifletta le diversità politiche del Paese.

da Giornale di Brescia 12/12/2012.

Sha’ria: legge immutabile o interpretabile da chi ha il potere?

Leggi il mio articolo sul Giornale di Brescia del 29/3/201.

In questi giorni è tornata alla ribalta la vicenda di Asia Bibi, la pachistana incarcerata con l’accusa di blasfemia dopo la denuncia di vicine che l’avrebbero sentita inveire contro il profeta Maometto, e per essersi poi rifiutata di convertirsi. L’arresto di Bibi ha provocato tensioni in Pakistan, dove vige la pena capitale per blasfemia e apostasia, sfociate in disordini durante i quali sia il governatore del Punjab sia il ministro delle Minoranze religiose, a favore dell’abolizione di tale legge, sono stati assassinati.
La vicenda riporta alla ribalta il problema delle minoranze cristiane (o di altre fedi) in una società in cui la religione islamica è preponderante e delle gravi intolleranze di cui spesso sono vittime. Poco importa che né il Corano (che proibisce la conversione forzata, Sura 2:26) né eventi storici legati a Maometto corroborino l’idea che chi non è musulmano vada ucciso; e neppure che giuristi islamici si siano chiaramente espressi contro la barbara interpretazione. Agli amministratori dei Paesi dove la tensione tra musulmani e minoranze è più grave (Pakistan, Nigeria, Egitto, India) importa sviare l’opinione pubblica dalle loro malefatte, favorendo l’opera di capi religiosi fanatici che aizzano le folle contro i cristiani «nemici» distogliendo l’attenzione da malgoverno e corruzione.
L’ossessione di molti legislatori islamici sulla libertà di religione svela altri risvolti: in alcuni Paesi, pure le conversioni all’islam da parte di aderenti ad altre religioni sono ostacolate, soprattutto se le aspiranti musulmane sono donne. Negli Stati in cui divorziare è difficile, vi sono donne convertitesi provvisoriamente all’islam (in cui lo scioglimento del matrimonio è più semplice) per liberarsi dal vincolo, e poi tornate alla religione originaria. Questo uso della conversione ha spinto molti pensatori islamici ad invocare pene severe per le apostate. Ma si è pure verificato il caso in Kuwait di donne che, sfidando pene severe, hanno tentato di liberarsi di sgradevoli connubi fingendo di convertirsi ad altra religione: così non c’è neppure bisogno di rivolgersi ad una corte, poiché il legame tra un musulmano e una donna che non lo è viene automaticamente sciolto. Per chiudere la «pericolosa porta di libertà», le autorità kuwaitiane hanno deciso che l’apostasia femminile non conduce all’immediato scioglimento del matrimonio. Così hanno confermato che le leggi religiose cui molti s’appellano per giustificare il controllo sulla società possono essere modificate: conta solo il potere di chi le gestisce.