Transgender candidati alla presidenza in Pakistan, imam che celebrano matrimoni: che succede nelle società islamiche?

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Due peculiari notizie riguardanti il mondo dell’islam stanno facendo il giro del mondo: a Washington, l’imam Daayiee Abdullah, pubblicamente dichiaratosi omosessuale già alla fine degli anni ’70, ha confermato di celebrare unioni matrimoniali tra gay della sua comunità; mentre, dall’altra arte del mondo, in Pakistan, fra i numerosi candidati al ruolo di Presidente della Repubblica vi sono pure due transgender, Sanam Faqeer e Bindiya Rama, che stanno conducendo la loro campagna politica fra i connazionali, in un Paese non certo all’avanguardia per quanto riguarda i diritti umani e di genere.

Per la gran parte dell’opinione pubblica internazionale, che tende a considerare l’islam omofobico, queste due notizie sono sbalorditive, al limite della attendibilità. I più sottolineano come gli omosessuali siano vittime di discriminazioni pesantissime all’interno dei paesi islamici, alcuni dei quali, come l’Arabia Saudita o l’Iran, prevedono addirittura la pena capitale per persone dello stesso sesso colte a consumare un rapporto carnale. Molti ricordano ancora l’affermazione del Presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad nel 2007, allorché dichiarò alla Columbia University “Noi in Iran non abbiamo omosessuali come ci sono qui», provocando l’ilarità dei presenti.

A credere che nei paesi musulmani l’omosessualità sia poco presente o frutto della corruzione occidentale non è, però, solo il presidente iraniano. Si tratta di una convinzione diffusa e radicata, e secondo gli attivisti che si battono per i diritti LGBT (lesbo-gay-bisex- trasgender) nel mondo musulmano è uno dei primi nodi da sciogliere.

Ma sull’omosessualità, come su moltissimi altri nodi cruciali riguardanti le società che cambiano, non vi è un approccio unico e negativo fra i musulmani, ma una vasta gamma di atteggiamenti e, soprattutto, di nuove interpretazioni religiose di cui tenta d’impadronirsi chi voglia conciliare fede e “diversità”. Vi sono oramai varie legittimazioni culturali che consentono di parlare apertamente di omosessualità in ambito islamico e addirittura di prendere in considerazione l’idea che non esitano solo due generi (maschile e femminile), ma che ne esistano altri, compresi in un grande disegno voluto dal Creatore. Lo scorso inverno, la grande moschea di Parigi si è aperta agli omosessuali, destinando loro uno spazio, che non è luogo di segregazione, ma di riconoscimento.

A Madrid, si è aperto un centro per omosessuali musulmani. Qualche mese fa, Salameh Ashour, esponente della Comunità islamica in Italia, ha dichiarato in una pubblica assemblea “siamo tutti figli di Dio e ognuno nel suo privato faccia quello che vuole”.

Sono tutti segni del cambiamento.

Fino a non molto tempo fa gli omosessuali dovevano scegliere se essere gay, magari considerati “ammalati” e quindi fuori dell’islam, o nascondere la propria natura. Oggi, questo schema vacilla. Molti omosessualisi considerano buoni musulmani, dunque non vogliono rinunciare alla loro identità religiosa, anzi non si pongono proprio il problema. Credono che per loro ci sia uno spazio dentro l’islam, e si stanno impegnando in questa direzione.

Ovviamente, la strada non è semplice. In alcuni stati conservatori, si è pensato di risolvere il nodo consentendo il cambio di sesso: ad esempio, in Iran, paradossalmente, non è possibile dichiararsi omosessuale, ma è possibile cambiare sesso, anche a spese dello Stato.

In tutti i paesi musulmani il discorso sull’omosessualità sta divenendo un nodo cruciale che consente di mettere in discussione i rapporti tra pubblico e privato; la concezione di religione intesa come devozione personale e la sua manipolazione come rigido controllo sociale; nonché il diritto a godere di piena cittadinanza e la negazione di questo diritto da parte del potere.