11 febbraio 1979-11 febbraio 2012: sono trascorsi 33 anni da quando in Iran la monarchia imperiale di Reza Pahlavi è stata rovesciata e sostituita da una Repubblica teocratica.
Nel 1979 fu l’intera società civile (all’epoca il termine non era ancora di moda!) a ribellarsi contro lo Stato e tutti si rovesciarono in piazza allorché il tiranno coronato partì per l’esilio da cui non sarebbe più ritornato. Ma pochi mesi dopo erano molti i disillusi dalla rivoluzione, le carceri erano piene di dissidenti, gli aeroporti presi d’assalto da gente che voleva emigrare per non finire vittima delle purghe di stato, o per non essere arruolata e spedita al fronte iracheno, dopo che Saddam Hussein aveva attaccato la giovane Repubblica.
Da allora, si è innestato un testa a testa tra Stato e Società dove il primo cerca di inculcare principi liberticidi senza riuscirvi, nonostante il persuasivo uso della forza, e la seconda s’oppone mettendo in atto forme di resistenza civile e cercando la quotidiana erosione del Potere.
L’Iran si è evoluto in una ridda di contraddizioni scoppiate lungo il corso del post Rivoluzione, in gran parte dovute allo scollamento tra società civile e autorità: nonostante decadi di propaganda e di imposizioni, gran parte della società civile non ha assimilato i dettami “religiosi” intimati, ma, al contrario, sembra andare in senso uguale e contrario rispetto ai parametri che il regime continua a dettare. Un caso eclatante, solo in parte superficiale, è il dettame vestiario: le iraniane sono obbligate a coprirsi il capo e ad osservare una certa morigeratezza degli abiti quando agiscono nella sfera pubblica, ma la maggioranza delle donne sfida le autorità adottando dei veli “impropri”. Mentre in tutto il mondo le musulmane lottano per poter indossare il velo in pubblico (in situazione migrata, ma anche in Turchia e in qualche stato arabo), le iraniane confutano l’obbligatorietà del velo quale imposizione non religiosa, bensì statale.
L’Iran di questi ultimi trent’anni è stato travagliato anche da vicissitudini esterne, in primis la lunga e sanguinosissima guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein (1980-1988). Poi, è arrivata la “scomunica” di Bush jr. che ha incluso l’Iran nell’ “asse del male”, cercando di creargli un cordone sanitario attorno. Orgoglioso nel suo isolamento, profondamente convinto di essere giusta vittima di concorrenti empi, l’Iran ha cercato in tutti i modi di creare legami legami esterni, soprattutto coi paesi del Centrasia, geograficamente e culturalmente vicini. Il suo isolamento è stato poi acuito da altri avvenimento bellici di questi anni: le guerre in Iraq e in Afghanistan hanno portato le truppe internazionali (ostili all’Iran) ai suoi confini; la Turchia, paese NATO, ospita truppe e armamenti americani; il Pakistan è da sempre un alleato di Washington; nel Golfo, il Bahrein accoglie permanentemente la V flotta statunitense, mentre l’Arabia Saudita, con la quale scorre vecchia inimicizia, è in stretti rapporti d’amicizia e business con gli Stati Uniti.
Infine, s’è aggiunto il progetto del nucleare, che è entrato in rotta di collisione con gli schemi delle potenze mondiali, le quali, convinte che l’Iran voglia il nucleare a scopi bellici e non solo civili, ha iniziato un braccio di ferro con sanzioni da parte dell’Onu e minacce in risposta da Tehran, quale quella di bloccare lo stretto di Hormuz, nodo cruciale per l’esportazione del petrolio. Negli ultimi tempi, i tamburi di una possibile guerra contro l’Iran suonano sempre più insistentemente. Paradossalmente, si tratta di una guerra che nessuno dei due contendenti, per vari motivi, si può permettere. Ma la minaccia reiterata tiene in costante preoccupazione soprattutto la popolazione civile iraniana, già provata da censure interne e sanzioni interne.
articolo pubblicato da Il Giornale di Brescia, 12/2/2012.