Fiabe persiane

Tradizionalmente, chi raccontava storie nel mondo persiano erano uomini. Coloro i quali lo  facevano di mestiere erano raggruppati in  apposite corporazioni e giravano di villaggio in villaggio e di mercato in mercato; si esibivano all’aperto oppure nella sala da tè e  da caffè il cui ingresso era pronbito alle donne, alle quali era riservata la narrazione casalinga, accanto al fuoco.

Donne senza uomini

A metà primavera l’albero che era in lei scoppiò… in una metamorfosi eterna le particelle di Mahdokht si disgiunsero l’una dall’altra… Infine, tutto fu compiuto. L’albero si trasformò in semi, una montagna di semi. S’alzò il vento, un vento forte che sparpagliò per aria i semi dell’albero Mahdokht. Mahdokht viaggiò insieme all’acqua, nell’acqua… Divenne ospite del mondo. Andò in tutto il mondo.
Cinque donne appaiono in brevi storie parallele che ci danno un quadro della società al femminile (dalla ricca borghese alla giovane prostituta). Varie vicende le portano a uscire dalla vita destinata per confluire tutte nella casa della ricca Farrokhlaqa. In un piccolo mondo separato dove predomina il femminile (un solo uomo presente si fa chiamare non a caso “giardiniere gentile”) si ripropongono, nella realtà o nelle aspirazioni, le gerarchie del passato. L’utopia frantumata? Forse invece lo sguardo coraggioso di Parsipur riesce a suggerire, attraverso il surreale, l’intreccio complesso dei condizionamenti che coinvolgono anche le donne. Resta come speranza la metafora forte di Mahdokth, donna-albero che si è piantata nella terra e continua a vivere radicata in quella natura negata (anche ora, in parte) alla donna iraniana.

Crowning

Now almost one hundred years later Taj’s memoirs are relevant and qualify her not only as a feminist by her society’s standards but also in comparison with feminists of her generation in Europe and America. Beyond her fascination for the material glamors of the West at the turn of the twentieth century–fashion, architecture, furniture, the motorcar–she was also influenced by Western culture’s painting, music, history, literature and language. And yet throughout this time she kept her bond with her own literary and cultural heritage and what she calls her “Persianness.”

La storia velata

Nell’immaginario occidentale ogni considerazione sulla civiltà islamica è immediatamente
associata alla figura di una donna velata ed ogni nostro giudizio sul mondo musulmano è intrinsecamente legato alla posizione che la donna occupa in quel mondo, che, pur variegato e composito, ai nostri occhi appare come una nuvola omogenea. Ma da cosa e quando ha origine
questa immagine stereotipata di donna musulmana che noi ci portiamo appresso?
Il presente testo ripercorre la storia dei rapporti tra l’ Italia e il mondo islamico
attraverso la letteratura del nostro paese, soprattutto di viaggio, stilata
attraverso i secoli: memoriali, relazioni di ambasciatori, diari, che hanno contribuito a formare la rappresentazione delle donne musulmane ancora presente nel nostro immaginario.
La ricostruzione del mito negativo ci conduce dalle principesse saracene dei poemi medievali all’interno dei “lussuriosi” hammam, ci fa esplorare l’harem del Gran Signore di Istanbul e le viuzze delle città nord africane dove viaggiatori e diplomatici, dopo fugaci e superficiali incontri con le donne musulmane, le hanno tratteggiate in un’icona ripetitiva quanto falsa.
Un viaggio nel viaggio che ci svela vecchi ma sempre nuovi pregiudizi di cui siamo ancora vittime.

Nizzoli

E’ la lettura critica del diario di viaggio di Amalia Nizzoli, una delle pochissime donne italiane che nel secolo scorso abbiano vissuto a lungo in Egitto (dal 1819 a l 1828) e abbiano poi lasciato traccia scritta del loro soggiorno in Oriente. Questa lettura critica consente una riflessione su temi attualissimi quali il rapporto tra la cultura occidentale e quella islamica, visto in prospettiva femminile.

Le donne di Allah

E’ uscito il mio Libro:

Le donne di Allah. Viaggio nei feminismi islamici, edito da Bruno Mondadori, Milano

La lotta di liberazione femminile non è un’esperienza esclusiva dell’Occidente. Lo raccontano, e soprattutto lo dimostrano, le musulmane che ho incontrato in Turchia, Malesia, Iran, Indonesia, Egitto…sono filosofe, studiose dei testi sacri, attiviste che lottano per i loro diritti. Un viggio per incontrare chi crede nel Corano come simbolo di libertà e di progresso.

Bhutto. il documentario

Martedì 09 Novembre 2010 14:13

Bhutto, è un documentario, non un film, che ripercorre la vita di Benazir Bhutto, prima donna ministro nel mondo islamico moderno, uccisa da un attentato a Rawalpindi nel 2007.

Voluto e prodotto da Mark Siegel, Bhutto ripropone in immagini quanto già espresso in Daughter of the East (1^ ed. 1988) autobiografia di Benazir in cui però il sapiente intervento

di Siegel è stato fondamentale. Risultato: un grande panegirico della statista pakistana, della quale si vuole proiettare un’immagine globale completamente positiva, di donna che

ha lottato strenuamente per il bene del proprio paese, un’eroina che ha avuto come unico difetto quello di stare sempre dalla parte della democrazia, contro l’oscurantismo islamico

e i nemici del popolo pakistano. Immagini di Benazir e spezzoni dei suoi discorsi sono costantemente cuciti dagli interventi apologetici di Siegel e di altre consigliere americane, dalle

lacrime dell’improponibile vedovo di Benazir, Asif Ali Zardari, ora Presidente del Pakistan, e di altri familiari. Uniche voci fuori dal coro sono quelle dello scrittore Tariq Ali (ma che

non si esprime apertamente contro l’operato della Bhutto) e di Fatima, figlia di Murtaza, il fratello di Benazir ucciso dalla polizia pakistana nel 1996, mentre lei espletava il secondo mandato.

Murtaza era in aperto contrasto con la politica della sorella e con il cognato Zardari, uomo notoriamente corrotto, e l’ombra del sospetto di fratricidio s’è più volte allungato su Benazir.

Ma a Fatima lasciano solo dire che “Benazir non era femminista”, come se questo fosse motivo di vanto. In realtà, è vero che Benazir non ha fatto nulla, in ben 2 mandati, per migliorare la s

ituazione femminile pakistana, neppure un tentativo di abrogare le terribili leggi hodud varate dal tiranno Zia al-Haqq e di cui hanno fatto le spese soprattutto le donne, confermandosi quale

token woman utile per convogliare aiuti internazionali in Pakistan, purtroppo non a beneficio dei pakistani, ma delle casse della famiglia Bhutto-Zardari. Tutte verità che questo patinato rendiconto

da 1001 notte si guarda bene di toccare, anche per assolvere la politica americana.

Ma, nonostante tutti questi sforzi, rimane l’assordante silenzio del documentario su ciò che Benazir, nel bene o nel male, ha fatto per il Pakistan.