Piazza Tahrir è ancora il simbolo della lotta e di ogni tipo di protesta per gli egiziani. Accanto alle tende piantate sul cemento e ricoperte di bandiere e foto dei martiri caduti in questi 14 mesi di agitazioni, staziona un gruppetto di ragazzi che protesta contro l’assoluzione nei confronti del medico che ha eseguito il “test della virginità” a Samira Ibrahim, un esame umiliante che fino a poco tempo fa era di prammatica per le arrestate, sopratutto quelle “politiche”, a scopo intimidatorio. Ora la Corte Suprema ha deciso che i test non possono più essere eseguiti: una delle poche vittorie tangibili, fino ad ora, messe a segno dalla società civile egiziana.
Il clima che si respira al Cairo è fatto di esaltazione e speranza, ma anche di scoramento e di paura per il prossimo futuro. Apparentemente, la schiacciante vittoria dei partisti islamici non ha cambiato nulla, nel bene e nel male: non si sono viste restrizioni di stampo moralista nella sfera pubblica, ma neppure nessun cambiamento positivo della drammatica situazione economica. Il Paese è squassato dagli scioperi e dalle relative manifestazioni di lavoratori che protestano per i salari insufficienti a coprire il costo della elevata inflazione e per le condizioni spesso disumane in cui operano. Fra questi, particolare rilievo rivestono gli operatori del settore degli impianti petroliferi: l’Egitto produce un quantitativo di petrolio insufficiente a coprire il fabbisogno nazionale, ma fermare questa produzione significa creare comunque disagi e mancato rifornimento alle pompe di benzina. Nei giorni scorsi girava voce che ci sarebbe stato un black out, e migliaia di persone si sono accalcate alle stazioni di benzina temendo il peggio.
Segnali che hanno pure rallentato l’erogazione dell’ingente prestito che il Fondo Monetario Internazionale dovrebbe garantire all’Egitto e che è essenziale per ridare fiducia agli investitori.
Molti delle classi più disagiate, che hanno votato per il partito ultra conservatore (salafita) attratti dalle offerte di denaro sono delusi: la prima tranche di denaro pre voto doveva essere seguita da un altro aiuto economico dopo le elezioni, ma una vota vinto gli ambiti seggi, i politicanti foraggiati dall’Arabia Saudita sono scomparsi.
I negozi della capitale sono pieni di merci che nessuno compera: i negozi nelle affollate strade del centro tengono comunque aperto fino a tarda sera, sperando in un acquirente, mentre i marciapiedi prospicienti pullulano di bancherelle illegali, ma non si vede nessun poliziotto intorno. Nessuna traccia dell’usuale ingente spiegamento di forze, sono forse tutti in borghese? Secondo i cairoti, la virtuale sparizione della polizia ha un motivo: “Vogliono che succeda qualcosa, che si creino disordini, che la gente protesti perché non c’è legge né sicurezza: prima abbiamo protestato perché vittime dell’eccessivo controllo, adesso vogliono punirci, e farci vedere che invece il pugno di ferro serve!” dice un libraio.
Eppure molti sono fiduciosi: un gruppo di ragazzi egiziani dà man forte alla protesta degli esuli siriani, in piazza Tahrir, davanti alla sede della Lega Araba: “Hanno bisogno del nostro aiuto – spiega uno studente di ingegneria – noi abbiamo conquistato la libertà, loro ancora no.”
Fra di loro molte ragazze, cui chiedo che ne pensino della situazione nel loro Paese: “C’è ancora molto da fare – risponde Fatma, appena laureata in Scienze Politiche – ma fino all’altr’anno noi ragazze non avevamo neppure il coraggio di scendere in piazza. Adesso siamo qui e nessuno ci caccerà più indietro!”.
Intanto, le egiziane hanno celebrato una seconda festa della donna venerdì 16, commemorando l’anniversario della protesta che la celebre femminista Hoda Shahrawi organizzò nel 1919 contro l’occupazione britannica. L’occupazione straniera è finita: ora le egiziane debbono affrontare i pericoli interni.
pubblicato da Giornale di Brescia 21/3/2012.