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La squadra di calcio femminile iraniana: hejab e ipocrisia

Con un po’ di ritardo intervengo sulla questione del bando della squadra femminile iraniana dal partecipare alle finali della coppa del mondo: le iraniane, già qualificate, sono state escluse perché giocano col capo e il collo coperti, chiaro “segno religioso” bandito dalla FIFA. Al giubilo col quale molti, comprese sedicenti femministe di varie nazionalità, sparsi nel globo, stanno salutando quella che leggono come una “punizione” per la Repubblica Islamica d’Iran (?), vorrei contrapporre alcuni fatti:

1) nessuno mette in discussione che le donne iraniane siano oggetto di pesanti discriminazioni nel loro paese. Ma privare loro della possibilità di esibirsi a livello mondiale in una specialità sportiva è una punizione contro loro stesse, non contro il loro governo. E così, ancora una volta le iraniane vengono doppiamente discriminate e punite;

2) le iraniane sono state squalificate perché indossano un simbolo religioso. Però non ho mai sentito che un giocatore di calcio sia stato escluso perché si fa il segno della croce entrando in campo o uscendone, gesto che si consuma in continuazione nei campi internazionali. per non parlar di quei giocatori che portano la croce al collo, o addirittura tatuata sul corpo. Ma, evidentemente, per i maschi le regole della FIFA non valgono;

3) le iraniane dovrebbero essere contente di essere state escluse dalla competizione, visto che la FIFA punisce il velo reso obbligatorio dal governo iraniano. Ma allora perché le foto che stanno girando su moltissimi siti dopo l’esclusione le ritraggono piangenti  sulla loro bandiera nazionale?

4) se proprio vogliamo aiutare le donne d’Iran, dovremmo riconoscere l’ incredibile tenacia con la quale lottano per poter praticare ogni tipo di sport, calcio compreso, con ottimi risultati internazionali (a proposito, che ne è della squadra femminile italiana?) e aiutarle a rimanere sulla ribalta internazionale anziché confinarle nel loro paese;

5) se bandire le iraniane significa spezzare una lancia per la democrazia, qualcuno mi dovrebbe spiegare perché si è già deciso che i mondiali di calcio (maschili) del 2022 verranno disputati in quel paradiso della democrazia che è il Qatar… ricordo, per chi l’avesse dimenticato, che il Qatar (fra l’altro) ha mandato e proprie truppe in Bahrein per “sedare la rivolta”, ovvero, per massacrare i cittadini che chiedono democrazia e libertà basilari. E che Qatar, Kuwait e Arabia Saudita, le cui cittadine sono esposte a quotidiane vessazioni (le saudite non possono neppure guidare, figuriamoci giocare a calcio!) hanno loro rappresentanti nella FIFA, che si sono ben guardati ad intervenire a favore delle “sorelle” iraniane velate. Ovviamente, nessuno pensa ad escludere questi paesi dalla FIFA. La pecunia del Golfo non olet, mai.

 

Donne e cambiamento in Iran

Sima non vuole etichette: non è una femmminista, dice, ma “un essere umano che ha la ventura di essere una donna”. Eppure la sua attività a favore soprattutto delle donne d’Iran la qualifica come un’attivista per il miglioramento della condizione femminile nel suo Paese. Sima ha lavorato in parecchie ONG, quali quelle tese ad innalzare il livello d’istruzione delle donne nella cittadina di Bam, sconvolta a un pauroso terremoto anni orsono, o  altre dedite al recupero di ragazzi disabili. Sima svolge perlopiù mansioni di assistenza finanziaria e consulting, materie che ha studiato sia in UK che in Iran. Anche se Sima è critica nei confronti delle ONG, in quanto “non sono indipendenti, anche quelle straniere debbono operare in collaborazione col govero, così come le nostre senza contributi governativi non potrebbero esistere ed operare”.

Sta di fatto che l’Iran vede una fitta presenza di ONG locali, animate soprattutto da donne,quindi chiedo a Sima una rilessione su questo fenomeno: “Le nostre ragazze hanno imparato a lavorare nel Sistema. Sono loro che stanno operando il cambiamento nel mio Paese: basta camminare per strada, andare nei parchi, vedere come si atteggiano, qual è il loro linguaggio del corpo, per capire il grado di sicurezza che hanno acquisito. Certo il fenomeno è più evidente nei grandi centri urbani, ma questa descrizione che si legge nei media occidentale, rispetto alla quale ci sarebbe un grande divario fra la vita urbana e quella rurale/provinciale, è da sfatare. Io opero anche fuori Tehran, e ti assicuro che il cambiamento è generale.”

Chiedo a Sima di approfondire: “Ora, ad esempio, le donne non hanno più paura di essere responsabili dell’economia della famiglia. La scuola, l’università, le ha prese dal nido e le ha preparate alla vita. Certo le giovani di oggi devono molto alla mia generazione di cinquantenni, molte di noi hanno pagato il prezzo della modernità agendo da pioniere, rompendo le regole, ma ora le nostre figlie beneficiano di questa situazione. Pensa che, 80 anni fa, mia nonna lasciò il marito, il quale, ovviamente, si tenne pure il figlio. Nonna si mise a fare la cucitrice per campare, con i soldi che guadagnava si manteneva la scuola, prese il diploma di maestra e si mise a insegnare.  All’epoca queste storie rappresentavano un’eccezione, ora l’indipendenza femminile da noi è la regola. ”

Anche Sima se ne è andata di casa quando aveva 17 anni, per studiare in UK, tornando proprio all’insorgere della Rivoluzione: “Ho fatto il contrario di quanto hanno fatto i più, che erano qui nel momento del cambiamento, ma ora se ne sono andati. Io ho provato a ritornare all’estero, sono stata in Canada, ma tutto è così superficiale laggiù, anche l’indipendenza delle donne: lì gli immigrati sono per lo più sottoimpiegati e le donne non condividono il potere politico. Certo qui c’è una marea di cose da fare, ma sono felice di pagare il prezzo che comporta la prospettiva di cambiare le cose. E non sto parlando solo di cambiamenti di leggi, certo quelli sono necessari, ma altrettanto necessari sono i cambiamenti culturali da parte di tutta la società civile.”

Chiedo a Sima un parere sulla presenza delle iraniane nella politica del Paese.”E’ vero che le donne che riescono ad agguantare posizioni politiche influenti sono membri di famiglie importanti e legate al potere, ma io penso che ciò rappresenti comunque un progresso, e che col tempo, le cose andranno meglio. Ormai si parla comunemente di concetti quali ‘cittadinanza’, ‘partecipazione’…certo non possiamo aspettarci rivolgimenti epocali subito, ci vuole tempo, il governo è abile nelle manovre di controllo, nelle tattiche di diversione, ma sono ottimista!”

Ringrazio Sima, che si sta preparando per raggiungere il mar Caspio, dove si trova un istituto per ragazzi disabili per il quale raccoglie fondi: “Sono una donna, ma non sono concentrata solo sui diritti delle donne, ma sui diritti di tutti. Credo che questa consapevolezza sia la chiave per cambiare le cose. Una parte del movimento femminista di qui è troppo concentrato sull’aspetto di genere e perde di vista il contesto generale. Il potere storico dell’uomo è basato sull’ingiustizia sociale, bisogna ristabilire il senso di giustizia, per tutti.”

Figlie di Shahrazād

Scrittrici iraniane dal XIX secolo a oggi

Le donne d’Iran scrivono da tempi lontani e non hanno mai abbandonato questa vocazione. Successi internazionali di scrittrici iraniane esuli non sono bastati a indirizzare l’attenzione del pubblico sulle colleghe rimaste a vivere e a scrivere – in lingua persiana – nel loro paese. Eppure, dall’instaurazione della Repubblica Islamica a oggi, la produzione femminile supera quella degli uomini, almeno per la narrativa. E il dibattito intellettuale si arricchisce quotidianamente anche grazie all’apporto delle pensatrici impegnate a vario livello nella vita sociale e politica dell’Iran.
Questo volume percorre la storia di una cultura femminile che ha le sue radici in consuetudini di lunga tradizione, ma si sviluppa di fatto negli ultimi due secoli, offrendo una prospettiva nuova su una società islamica postmoderna in cui si intersecano modelli culturali antichi e contemporanei.

La scrittura femminile islamica, fra tradizioni secolari e società postmoderna.