le “altre” donne dell’ IS

 

Nell’unanime condanna delle azioni e della stessa esistenza del sedicente Stato Islamico (IS) occupa un posto rilevante il biasimo generale per il modo barbaro con cui i suoi adepti trattano le donne, considerate trofei da schiavizzare, stuprare e uccidere a piacimento. Destano quindi ancora più stupore, e sgomento, le notizie che riportano come un cospicuo numero di donne provenienti, tanto da paesi Europei quanto dal Medio Oriente allargato siano, anziché vittime dell’IS, loro complici. Dopo un periodo in cui gli uomini dell’IS sembravano aver preso le distanze dal genere femminile tutto, ora essi incoraggiano le donne a unirsi a loro per svolgere varie mansioni, che vanno dalla raccolta d’informazioni al servizio di sussistenza, dalla preparazione del cibo alla condivisione sessuale. Alcune sono impiegate come vigilesse, col compito di controllare che tutte rispettino le leggi di abbigliamento e di condotta “islamiche” (leggi, dell’IS). Tutte sono attirate da una campagna mediatica che promette loro di poter vivere in un vero stato “islamico” accanto a un marito jihadista. Il numero esatto di donne che hanno aderito alle armate del terrore in Siria e Iraq è Impossibile da accertare, ma spiccano le almeno 30 europee ivi stanziate che hanno accompagnato i loro mariti jihadisti o vi si sono recate con l’intenzione di sposarne uno. E il numero pare destinato a crescere. Negli aeroporti francesi sono state arrestate anche minorenni pronte a imbarcarsi per la Siria col sospetto che volessero unirsi all’IS. L’IS è interessato a reclutare occidentali, donne comprese, come parte della sua strategia di espansione internazionale: ma cosa spinge le donne a unirsi a individui che violano i più elementari diritti umani, compresi quelli della legge islamica cui essi proclamano di aderire? In questo contesto le donne si rivelano, ancora una volta, non tutte innocenti, anzi, persecutrici delle altre, riunite in una brigata creata ad hoc, la al-Khansa, col compito di assoldare mogli per uomini che praticano la violenza sulle donne come costume quotidiano. Le propagandiste della brigata hanno preparato linee guida per le aspiranti jihadiste su siti in cui versi coranici si alternano a foto di Osama bin Laden, uno degli ispiratori del gruppo.

Troppo semplice ipotizzare, come già è stato sbrigativamente fatto, che si tratti di donne insicure che trovano nel gruppo un senso d’appartenenza, anche religiosa. Così com’è superficiale e inefficace liquidare l’IS quale gruppo di sanguinari dediti alle decapitazioni e ai massacri, guidati da furore “religioso” e odio nei confronti dell’occidente, senza invece tener conto della forza politica che lo anima e della capillare struttura che si è costruito. La duttilità del’IS e la sua pericolosità si dimostrano proprio nei confronti delle donne, rifiutate all’inizio come figure demoniache, poi cooptate nel progetto di costruzione di uno stato in cui la violenza contro di esse è uno dei cardini principali.

La mappa della provenienza delle jihadiste rivela che in maggioranza arrivano da Francia e Tunisia, due stati simbolo dell’emancipazione femminile, uno laico e occidentale, l’altro religioso-musulmano che vanta tuttavia leggi fra le più progressiste nei confronti delle donne del mondo islamico. Eppure, se i valori femministi della laicitè francese sono rigettati dalle giovani aspiranti jihadiste, in Tunisia, Paese che per primo ha adottato come legge di stato i principi coranici favorevoli alle donne, le madri guadano sgomente le figlie partire per divenire protagoniste del jihad al-nikah, il jihad sessuale.

Tutti noi, donne comprese, dobbiamo quindi assumere nuovi sguardi e nuovi parametri per cercare di capire le radici profonde e articolate di un fenomeno che, per potere essere efficacemente combattuto, richiede strumenti e approcci diversi da quelli finora adottati.

 

da Giornale di Brescia 28/9/2014